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vivere tutta sarebbe corsa ad abitare i paesi temperati dell’Europa e dell’Asia. E che di questa veritá chiaro testimonio ne rendevano le fiere e ogn’altro animale; i quali, governandosi co’ precetti naturali, in quella contrada perpetuamente si vedevano vivere ov’essi erano nati, e ancor che avessero la velocitá delle ali e l’agilitá del piede, si contentavano nondimeno del poco giro del nativo paese loro: che però la lepre, da’ cani venendo cacciata dal suo covile, cosi nel fuggir da essi si spaventava nel veder nuove contrade, che piú de’ denti de’ cani temendo i nuovi luoghi ch’ella vedeva, tornava a morir nel paese nativo, dond’era stata sturbata: che la curiosa diligenza degli uomini piú volte aveva osservato che le rondini per cosi lungo tratto di mare e di terra sapevano ritornare a nidificare nella casa medesima onde l’anno innanzi si erano partite. Dopo questa sentenza, da’ signori deputati della dieta grandemente fu dubitato della veritá del proverbio: « festina lente »; e fu detto che non essendo possibile in un tempo medesimo correre e andar adagio, che la sentenza in sé conteneva due cose contrarie e però impossibili ad esser praticate; mercé che la lentezza in modo alcuno non poteva stare con la celeritá, e che non era possibile che in quel negozio altri usasse maturitá di consiglio, nel quale somma prudenza era precipitare: é in questo particolare grandemente fu lodato il parer di Tacito, il quale liberamente disse, che « nullus cunctationí focus est in eo consilio, quod non potest laudari nisi peractum »: mercé che « non cunctatio?ie opus, ubiperniciosior sit quies, quam temeritas » ti). In questa diversitá di pareri, la dieta, per maturamente terminar il negozio di sentenza tanto importante, fece chiamar l’imperadore Flavio Vespasiano, al quale quei signori domandarono con qual senso primo di tutti egli avea pubblicato il proverbio: « festina lente »; e se era vero che con tai parole egli altrui avesse voluto insegnar una matura celeritá. A questa domanda rispose Vespasiano. ch’egli non con il senso che poi gli avea dato il volgo, (1) Tacito, libro 1 delle Istorie.