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di Francia, di Spagna e d’Inghilterra, con occhio cosi pessimo vedevano tòrsi da Menalca, che, parendo loro di tirannicamente essere assassinate non che maltrattate, avendo convertito il pianto delle loro calamitadi nel riso di veder minato il loro pastore, mostravano sentir diletto di esser divenute infeconde. Dalle novitadi di tante miserie trovandosi Menalca angustiatissimo e sopramodo afflitto, per indurre le pecore alla necessaria ubbidienza, fu forzato far venire di terra di svizzeri un nuovo reggimento di cani: il qual rimedio riuscí non meno dispendioso che infelice. Percioché i cani avendo cominciato a incrudelir contro le pecore fino al termine di mangiarsele, cosi brutta crudeltá operò che con la violenza della dominazione in quelle pecore crebbe una portentosa ostinazione di non voler ubbidire: onde il misero Menalca, afflitto da tanti mali, precipitò nell’ultimo infortunio di prestar fede ad un fiorentino, scelerato maestro della politica, il quale gli disse che non con altro piú sicuro modo dagli accorti pastori si procacciava il servigio delle pecore forastiere e inobbedienti, che con ismagrirle. Precetto che, come prima fu posto in atto pratico, cosi dannoso riuscí al pastore e alla greggia, che dalle pecore, giá tutte distrutte, non potendo Menalca cavar piú cacio né lana, tutte di mera necessitá si vedevano morire; e in un sol mese l’infelice perdette il frutto e il capitale, e con risa grande di tutti i pastori dell’Arcadia, di pastor felicissimo ch’egli era di una nobilissima mandra, per la sua avara ambizione divenne misero mercatante di pelli di pecore, infelici reliquie della sua lacrimevole mercatanzia. Disordine gravissimo, e tutto cagionato dall’ignoranza che hanno gli uomini dell’aritmetica pastorale: la quale in tanto è diversa dalla mercantile che si usa negli altri negozi, che a Menalca, che in cinquecento pecore guadagnava cinquecento scudi l’anno, non riuscí bene il conto di guadagnarne mille in un migliaio; perché nell’aritmetica ordinaria è cosa verissima che due volte cinque fa dieci, tre volte cinque quindeci, e cosí di mano in manò: ma nell’abbaco del l’ariimetica pastorale due volte cinque fa tre, e tre volte cinque fa uno; quattro volte cinque fa quel zero, che manda in rovina chi per troppo abbracciare stringe niente.