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magni, che per isfamare l’arrabbiata e ambiziosa fame che hanno avuta di dominare, nemmeno si sono vergognati domandare alla maestá di Dio che creasse loro nuovi mondi; perché nella nostra Arcadia in particolare si è trovato Menalca, perpetuo emulo e capitai mio nemico, il quale credendo, se avesse fatto acquisto di maggior numero di pecore di quelle che posseggo io, suppeditarmi, non si contentò della greggia di cinquecento pecore ch’egli aveva, ma per farsi assoluto monarca di tutti gli altri pastori dell’Arcadia, pigliò danari ad usura, vendè la maggior parte del suo patrimonio, e radunata che ebbe buona somma di scudi, di Spagna, di Francia e d’Inghilterra, dove seppe che le lane erano perfettissime, con eccessiva spesa fece venir tre mandre di cinquecento pecore l’una: le quali essendo forastiere e non conoscendo il pecoraio, né intendendo la voce e il fischio di lui, poco bene la mattina venivano condotte al pascolo e rimenate la sera all’ovile; onde Menalca, per ridurre all’ubbidienza la greggia che sempre andava errando, attizzò loro addosso i cani: i quali, come quelli che alle pecore erano stranieri, da esse sopramodo essendo odiati, tanto maggiormente di sdegno implacabile si accesero contro loro, quanto all’odio naturale si aggiungevano le offese: le quali cose nel cuor delle pecore generarono ostinazione, disperazione e .inobbedienza tale, che in sommo orrore cominciarono ad aver i pastori e la guardia dei cani. Oltre che, come prima si accorgevano di dover esser munte e tosate, fuggivano ad ascondersi ne’ boschi: e allora fu che chiaramente conobbero tutti i pastori dell’Arcadia, che la disperazione sa convertire in leoni gli stessi conigli; perché nella greggia di Menalca molte pecore spagnuole a tal termine vennero di rabbia, che fino fecero prova di mordere il pastore: le franzesi per mera disperazione diedero de’ calci nella secchia dove prima si erano lasciate mungere, e le pecore inglesi, per non ubbidire ai pastori stranieri, per non esser dilaniate da’ cani forastieri, astenendosi dal mangiare le erbe, piú tosto si elessero il morir di fame, che vivere in quella servitú. Maggior stupore fu che quello stesso frutto di cacio, di lana e di agnelli, che quelle pecore straniere tanto volontieri davano ai pastori loro