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avea per le mani mi servii di quel mio ministro, che felicemente giunsi a quel termine d’ingannar il tanto sagace prencipe della Macedonia, al quale non pervenne mai altro scaltrito ingegno. E col mezzo di secretario tanto fedele, senza che alcuno giammai abbia potuto penetrare i consigli miei, ho soccorso quel prencipe amico, che faceva pubblica professione di perseguitare; e felicemente mi è riuscito l’esercitar il mestiere del ridere e ingannare con quei che fanno pubblica ostentazione di esser veri maestri di quell’arte, e con simil virtuoso inganno ho ridotte le cose rovinate giá e precipitate dell’ Epiro nel termine che oggi vede il mondo: poiché dalla piú deploranda miseria è salito al sublime stato di esser solo e vero arbitro della Grecia tutta. E i macedoni, che si erano chimerate le monarchie universali e che in meno di un mese si credevano di assorbir gli Stati di ognuno, dalle supreme loro speranze talmente sono caduti nel baratro delle piú lacrimevoli disperazioni, che, affatto avendo abbandonati i capricci ambiziosi di volere occupar gli Stati altrui, con molta difficultá conservano ora i propri. — Udite che ebbe Apollo queste cose, tutto lieto corse ad abbracciare il duce di Laconia; e con tenerezza grande cosi gli disse: — Virtuosamente, o duce di quella nobilissima nazione che con poche parole dice cose assai, hai proceduto con uomo di tanta virtú; e liberamente ti dico che nel tuo onoratissimo senato laconico pochi altri senatori si veggono di merito pari a questo tuo amico, al quale ancor che tu donassi lo Stato tuo tutto, gli moriresti nondimeno ingrato: mercé che in questi tempi tanto infelici, ne’ quali all’incanto della perfidia di molti al piú offerente si vendono i secreti de’ prencipi, quel secretario che in negozi importanti riesce fedele al suo signore, non tanto da lui può esser guiderdonato, ch’egli molto piú non abbia meritato,