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RAGGUAGLIO XXXVI Arpocrate, da Apollo essendo stato scoperto ignorante, vergognosamente è cacciato da Parnaso. Questa mattina all’improviso avendo Apollo fatto chiamare a sé il gran maestro del silenzio Arpocrate, gli ha detto che fin a quell’ora egli sempre aveva ammirata la perpetua sua taciturnitá, ma eh’in quel punto gli era venuto desiderio grandissimo di sentirlo ragionare: poiché in colui ammirando era il silenzio, il quale, nelle occasioni che si presentavano poi, col moltiloquio sapeva dar gusto a’ curiosi letterati. Udita che ebbe Arpocrate questa domanda, si strinse nelle spalle, e fece segno che non poteva parlare. Allora Apollo li replicò che, lasciato per allora il suo tacere, discorresse sopra qualche materia elegante. Ciò udito, Arpocrate, pur tuttavia tacendo, si pose il dito alla bocca; quando Apollo, con volto alquanto alterato, strettamente li comandò che in ogni modo parlasse. Si accostò allora Arpocrate all’orecchio di Sua Maestá, e con voce molto sommessa li disse che il mondo in tal guisa ne’ suoi costumi si era depravato, che quegli piú degli altri meritavano nome di sapienti, che avevano occhi da vedere, giudicio da notare e bocca da tacere. Per cosi fatta risposta fortemente rimase Apollo stomacato: onde, voltatosi a’ circonstanti che gli erano allato, disse loro che finalmente si era chiarito che Arpocrate era un pan perduto, un pezzo di carne inutile; e appresso li comandò che subito facesse fagotto e che sfrattasse da Parnaso, poiché l’aveva scoperto per uno di quei bufaloni, de’ quali nel mondo si vedevano oggi numerosissime mandre, che sotto un virtuoso silenzio ascondevano e palliavano una molto crassa ignoranza.