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veder nella sua vita continovar la succession del regno nel suo sangue, avesse rinunziata la dominazione, gli avrebbe conceduto il luogo onoratissimo tra que’ prencipi prudenti, che, con la presta rinunzia degli Stati fatta ai figliuoli, avevano saputo schivar l’inconveniente di venire a qualche lacrimevol termine con essi, divenuti giá impazienti della vita privata. Ma che se fosse stato trovato ch’egli sotto il grave peso del regnare, nel quale altri do vea mostrar virtú maggiore, o per bassezza di genio incapace di tanta grandezza avesse rinunziato il regno, pur allora poteva tornarsene alla sua casa: perché la vera moderazione dell’animo virtuosamente mostrandosi nel tollerar con franco cuore i casi avversi, non nel perdersi ne’ felici, il suo Parnaso dissimilissimo era da que’ tempi miserabili di Nerone, « quibus inertia pro sapienza fuit » (ri. Incontinente poi il duca di Rodi, uomo per li suoi palesi e molto brutti vizi in questo Stato tenuto in concetto vilissimo, si presentò avanti Apollo, col quale gravemente si querelò della pessima vita che tenevano i suoi popoli; perché disse che nel suo Stato sopramodo regnava la crapula, la libidine, la crudeltá delle implacabili inimicizie, con le quali i suoi sudditi con immanitá ferina facevano correr le strade di sangue umano; e che quel danaro, che virtuosamente doveano spendere per pascer la famiglia loro, viziosissimamente gettavano ne’ giuochi, seminario di crudelissime risse; e perché le pene severe, che in ogni luogo solevano spaventar gli uomini dal mal operare, nel suo Stato non erano riuscite util medicamento a cosi grave infermitá, umilissimamente supplicava Sua Maestá di opportuno rimedio a tanto suo bisogno. Al duca di Rodi rispose Apollo che, non potendo esser di meno che i popoli non fossero scimmie de’ prencipi loro, compitissimamente egli avrebbe ottenuto l’intento suo, quando, dando egli bando all’ozio, alle libidini, al giuoco e ai costumi sanguinari, ne’ quali egli tanto era immerso, avesse corretto se stesso: percioché, per guarir le membra di un corpo languido, prestantissimo belzuar dava all’ammalato chi medicava il capo (1) Tacito, nella Vita di Agricola.