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Incontinente poi avanti Sua Maestá comparve il moral Seneca, il quale per quella audienza personalmente aveva fatto citare Publio Suilio, suo crudelissimo nemico. E fino con rabbia, non che con isdegno grande, si dolse di alcune parole d’insopportabil ingiuria che quell’uomo aveva dette contro la sua riputazione; e instantemente domandò che come maledico severamente fosse punito. A Suilio comandò Apollo che ripetesse le parole per le quali Seneca tanto si chiamava ingiuriato. Allora Suilio animosamente confessò che, piú mosso dalla veritá che incitato dallo sdegno di odio privato, in certa occasione che nacque, aveva rimproverato a Seneca, « qua sapientia, qui bus philosophortim praeceptís, intra quadrienmum regiae amicitiae, ter millies sestertium paravissetf Romae testamenta et orbos velut indagine eíus capi. Italiani et provincias, immenso fenore hauriri » (J). Seneca, che si avvide che per l’eccessivo accumulamento di sette milioni e mezzo di ricchezze, fatte in tempo cosi brieve, Apollo grandemente si era scandalizzato, disse a Sua Maestá: al mondo tutto esser noto quelle sue facoltadi, ancorché molto grandi, non da ingordigia che egli avesse delle ricchezze, ma solo esser procedute dalla mera liberalitá del suo Nerone. Apollo, che non approvò la scusa di Seneca, liberamente gli disse che il fiume di quelle sue smisurate facoltadi, bruttissime in un filosofo suo pari, tanto soverchiamente in un baleno essendo cresciuto, di necessitá faceva bisogno che dai torrenti di bruttissime industrie avesse ricevuto acque torbide. A questo rispose Seneca che, quale egli si fosse, non faceva bisogno riguardare alla fracida lingua di Suilio, cosi avvezza al mentire, che con l’infame esercizio della maldicenza sostentava la scelerata sua vita: ma agli scritti tanto lodati, tanto ammirati, ch’egli avea comunicati al mondo. Suilio, cosi atrocemente da Seneca vedendosi offeso, arditamente rispose che quali gli uomini si fossero, esattamente altrui mostrava non la penna, ma la qualitá della vita che si teneva: perché l’unico paragone che al mondo faceva conoscere la vera lega del genio degli uomini, erano l’opere, non le parole. 0) Tacito, libro 13 degli Annali.