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no RAGGUAGLI DI PARNASO Caro la risoluzione di Apollo, non solo, come gli si conveniva, non si quietò, ma sopramodo divenuto rabbioso, liberamente disse che nell’atto discortesissimo dell’Atanagi verissima esperi mentava in sé la sentenza di Tacito, che « beneficia eo usque laeta sunt, dum videntur exolvi posse: ubi multum antevenere, prò gratia odium redditur » (0. Udito questo, Apollo con voce alquanto alterata rispose al Caro che la sentenza di Tacito era verissima, ma da lui e da altri infiniti pessimamente intesa; poiché gl’immensi benefici ordinariamente si vedevano contracambiati con ingratitudine infinita, piú per l’impertinenza che il benefattore usava nell’esigere la gratitudine dell’obbligo altrui, che per la discortesia di chi riceveva il beneficio. Poi in Sua Maestá piú crescendo l’alterazione dello sdegno, cosi disse al Caro: — Non sapete voi, messer Annibaie, che l’affezione che straordinaria portano i tutori alle pupille loro, passata ch’esse hanno l’etá puerile, si converte per l’ordinario in amor libidinoso? e siete voi forse uno di quei galantuomini, de’ quali io conosco parecchi, che per lo beneficio di avere all’amico dato moglie facoltosa, vogliono riscuotere il guiderdone di dormire con la sposa? e in tant’anni che siete vissuto nella forbitissima corte romana, non avete voi imparato a conoscere che cosi le mogli come i principati non si possono dare ad un amico con animo di riserbar per sé l’usufrutto di essi, senza correre evidente pericolo di spartir l’amicizia con le spade? — Poi all’Atanagi cosi disse Apollo: — Dilettissimo Dionigi, goditi in pace la tua cara sposa; e se per l’avvenire il Caro ti tasserá mai d’ingrato, tu chiama lui impertinente, ché gli dirai il suo vero nome. (i) Tacito, nel libro 4 degli Annali.