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IOO RAGGUAGLI DI PARNASO ferrarese chiamato « il Pastor Fido » a Sua Maestá fu fatto dono d’una odorifera e bellissima torta. Apollo, senz’aspettar l’ora ordinaria del pranzo, in mezzo la strada ove egli si trovava, con tanta aviditá si pose a mangiarla, che di una torta pastorale alla rusticale si succhiava le labbra e leccava le dita; e tanto mostrò che quel cibo gli dilettasse, che stimò non solo debito di buona creanza, ma cosa necessaria farne parte alle serenissime muse, affine ch’elleno, che sempre son gravide di versi, per la voglia che ne avessero avuta, non facessero qualche aborto, o partorissero poema segnato di qualche brutta macchia d’ignoranza. Mentre le muse, che prima erano state chiamate da Sua Maestá, insieme con Apollo con tanto gusto mangiavano la torta di quel bene avventurato pastore, s’avvidero che i virtuosi che erano intorno, transivano di desiderio di gustar cosa di tanto sapore. Onde Sua Maestá ne fece parte ad ognuno; e tanto fu la torta celebrata, che confessarono tutti che in quel genere non si poteva gustar cosa piú delicata. Solo un virtuoso si trovò, che disse ch’ella gli aveva fatto nausea, per esserli paruta troppo melata; al quale con ¡sdegno grande disse Apollo che il dolce era amico della natura, e che quelli a’ quali egli sommamente non dilettava, avevano il gusto depravato, e ch’egli scopertamente era un maligno, se non confessava che quella delicatissima torta, essendo condita di maggior quantitá di concetti che di parole, solo era impastata di pelli di capponi, e ch’egli si era fatto conoscere per uno di quegli acerbi detrattori, che accecati dall’invidia biasimavano le cose inimitabili degl’ingegni straordinariamente fecondi. Ma e lo sdegno di Sua Maestá e lo spavento che di lui ebbero i virtuosi, si converti in riso, quando, la torta tutta essendo stata mangiata, fu veduto monsignor Giovanni della Casa che pigliò il piatto col quale ella fu presentata; e mentre con uguale aviditá e indignitá lo leccava, a Sua Maestá, e alle serenissime muse disse che in quelle cose che arrivavano all’eccellenza del diletto, altri non era padrone di se stesso, si che potesse ricordarsi le regole del Galateo e che nel carnevale era lecito esorbitare. Girò poi Sua Maestá il fòro massimo, ed ebbe sommo contento in vedere ogni cantone pieno di circoli