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RAGGUAGLIO XVI

Gli ambasciatori siciliani non possono aver udienza da Apollo, ma sono bruttamente da Sua Maestá scacciati.

Nel porto di Pindo due giorni sono giunse una nave, la quale isbarcò alcuni ambasciatori siciliani, che dalli popoli di quell’isola erano mandati ad Apollo per esporgli negozi di grandissima importanza, li quali, avendo fatto saper a Sua Maestá l’arrivo loro, dimandarono d’esser ascoltati. Non cosi tosto Apollo udi nominar Siciliani, che contro essi mostrò aperti segni di grandissimo sdegno, e a Luigi Pulci, barigello di campagna, comandò che facesse saper loro, ch’egli neppur volea vederli, nonché udirli: che però tornassero subito ad imbarcarsi, poiché era gran tempo che, per l’insopportabile ingiuria ch’egli avea ricevuta dai Siciliani, avea fatto fermo proposito di mai piú voler aver commercio con quella nazione. Gli ambasciatori, ritornando alla nave, obbedirono al comandamento di Sua Maestá, alla quale inviarono una umilissima supplica, nella quale esponevano che erano mandati a Sua Maestá per narrargli strapazzi nuovi, oppressioni inaudite, angherie miserabili che soffrivano dalli Spagnuoli, e che le afflizioni nelle quali i miseri Siciliani si truovavano involti erano tanto calamitose, che non solo dalle benigne orecchie di Sua Maestá meritavano d’esser ascoltate, ma che erano degne d’esser compatite e piante dai piú barbari Sciti che abitino la terra.

La supplica fu presentata ad Apollo dal reverendo padre Tomaso Fazzello, saporitissimo scrittor delle cose siciliane, il quale fece fede a Sua Maestá, che in questi tempi lo stato miserabile delli Siciliani trapassava il segno di tutte le umane afflizioni. Al Fazzello rispose Apollo, che tali erano li demeriti dei Siciliani, che si rendeano dignissimi dei mali trattamenti dei quali tanto si doleano: che però quanto prima fa