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TRADUZIONI

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Fedria. —Che vuoi dunque inferire?

Gnatone. — Son di parere che dobbiate ricevere in casa di Taide il Capitano.

Fedria.— Che parole ti lasci tu uscir di bocca?

Gnatone. — Or considerate, signor Fedria, che voi fate con Taide buona vita, e che vi piace mangiar del buono, e quello che voi date a Taide alla giornata è una miseria, e acciò ella possa pili comodamente attender alla vostra pratica sola, senza gran spesa, questo tarallo del mio padrone è fatto apposta per questo vostro bisogno, perché, oltre che egli ha buona entrata da spendere, non vive al mondo il maggior scialacquone di lui; voi stesso poi vedete come sia un uom di stucco, fatto all’antica, balordo sciocco, il quale non attende ad altro il giorno e la notte tutta, che a ben pacchiare, dormire e ronfare: insomma egli ha tant’altre belle virtú che non si sanno, che non dovete temer di esser scavalcato da lui. Come poi ve ne vien capriccio, gli potete dare d’un piede in culo e levarvelo d’innanzi.

Fedria. — Che ci risolvemo noi di fare?

Gnatone. — Oltre di ciò, egli ha una parte-in sé che è miracolosa, ed è questa, che non ha pari nel banchettar lautamente, e fa poi tavole cosi sontuose, che piuttosto mancherebbe il giorno, che le vivande.

Fedria. — Per vita mia, che costui fa molto a proposito per noi.

Cherea. — Del medesimo parer son ancor io.

Gnatone.— Voi mi parete aver sai in zucca; di questo ancora voglio strettamente pregarvi, che mi riceviate nel numero de’ vostri servidori, ché è giá gran tempo che ho fitto questo pensier nell’animo mio.

Fedria. —Ti fo la grazia che chiedi.

Cherea. — E volentieri.

Gnatone. — E io, per contracambio di ciò, vi fo un brindisi di questo valentuomo a mangiar bene e ber meglio.

Fedria. — Mi piace.

Cherea. — Va, che lo merita.