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SCENA QUINTA Lachete e Parmenone.
Lachete. — Da questo mio vicino podere sento questo utile, che non mai mi vien a noia né la villa né la cittá, perché, mentre l’una di loro mi vien a fastidio, muto stanza. Ma è egli il nostro Parmenone colui lá? Egli è. O Parmenone, ch’aspetti tu innanzi la nostra porta?
Parmenone.— Chi mi chiama? Oh, signor padrone, mi rallegro che ritorniate sano ! E avete una buona cera, Dio ve la conservi.
Lachete. — Che facevi tu qui?
Parmenone. — Non vi è piú rimedio al fatto mio: la lingua mi si attacca al palato per la paura talmente, che non posso parlare. Ohimè, par che mi pigli la febbre fredda!
Lachete. — Che hai tu che triemi? Ti senti mal alcuno ?•
Parmenone. — Prima ch’io cominci a dirvi altro, voglio che crediate fermamente questo, che è la stessa veritá: che tutto ciò che è occorso, non è altramente seguito per consiglio del vostro Parmenone.
Lachete. — Che cosa è seguita?
Parmenone. — Or l’udirete, ma, per narrarvi ben bene il fatto, bisogna ch’io lo cominci un poco addietro. Dovete dunque sapere che il signor Fedria comprò ieri un certo eunuco per donar a costei.
Lachete. — A chi ?
Parmenone. — A Taide.
Lachete. — L’ha dunque giá compro e sborsati e’ denari? Quanto gli costa?
Parmenone. — Cento scudi.
Lachete. — Oh, ruinata casa mia !
Parmenone. —Oltre di ciò, il signor Cherea è innamorato di una certa giovane, che suona e canta bene.
Lachete. —Vi mancava questo di piú! Cherea dunque è innamorato e giá sa egli quello che sia la conversazione