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TRADUZIONI

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riprensioni e castighi che piace a voi darmi; ma io ho ferma speranza che per lo avvenire abbia tra noi ad essere perpetua benevoglienza, ché, spesse volte, da somiglianti disordini e da cattivi prencipi è nata grandissima e perpetua amicizia. E che dobbiamo noi fare, se questa è stata forse mera volontá divina ?

Taide. — A me giova pigliarla in tal parte.

Cherea. — Almeno credetelo per amor mio e rendetevi certa ancora che, non per pensiere ch’io abbia avuto di offendervi, ma per mero furore amoroso abbia commesso tal errore.

Taide. — Ne son certa di questo, e per tal cagione vi ho per iscusato; non son io, signor Cherea, di natura tanto rozza e salvatica, che non abbia provato e non provi al presente col mio bellissimo Fedria qual siano le forze amorose.

Cherea. — Cosi mi guardi Iddio, o Taide, come io porto invidia a mio fratello e, in quel modo che mi si conviene, giá v’amo estremamente, e per la vostra bellezza, e per lo molto giudizio ch’io scorgo in voi.

Pizia. — Non vi domesticate tanto, padrona mia, con questo tristo, ché vi attaccherá l’uncino ancor a voi: non vi mancherebbe altro che s’empisse il vicinato di questa favola.

Cherea. — Hai torto, Pizia, ch’io non le farei mai cosa che le spiacesse.

Pizia. — Non vi crederei il Vangelo.

Taide. —Taci, se vuoi, ché mi hai secca.

Cherea. — Ora, Taide, poiché le cose stanno ne’ termini che vedete, io mi vi raccomando con tutto il cuore, e tutto mi rimetto alla vostra fede, e vi priego che vi piaccia esser mia adiutrice in questo negozio, e da ora vi eleggo per mia avvocata, poiché pochi saranno e’ giorni miei, se non ho costei per moglie.

Taide. — E se vostro padre non se ne contentasse?

Cherea. — Perché non se ne contenterá egli? Purché Pámfila sia cittadina, so certo ché non mi contradirá mai.

Taide. — S’ella non fosse veramente cittadina, io non l’avrei detto; anzi, se vi torna commodo l’aspettar un poco,