Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. III, 1948 – BEIC 1772693.djvu/432

TRADUZIONI

427

Fedria. — E che intrichi il cielo, che domine entri ne’ sedici anni? Ora sta a udir me: di dove hai tu avuti questi panni che porti ora? Tu non rispondi? Oh, mostro di natura, so pure che lo dirai, se ti crepasse il cuore !

Doro. — Venne il signor Cherea.

Fedria. — Chi? Cherea, mio fratello?

Doro. — Signor si.

Fedria. — Quando?

Doro. — Oggi.

Fedria. — Quanto tempo fa?

Doro. — Poco fa.

Fedria. — Con chi?

Doro. — Con Parmenone.

Fedria. — Per lo innanzi conoscevi tu questo mio fratello?

Doro. — Signor no, né avea udito dire chi egli si fosse.

Fedria. — Da chi dunque hai saputo ch’egli era mio fratello?

Doro. — Parmenone me lo dicea.

Fedria.— Ahimè, che costoro, con gli loro errori, mi faranno perder la grazia della mia Taide !

Doro. — E il signor Cherea essendosi vestito de’ miei panni, amendue uscirono fuori.

Pizia. — Che ne dite, signor Fedria? Mi tenete voi piú per briaca? Vi siete chiarito che vi ho detto il vero? Avete ora tocco con mani che la giovane è stata forzata?

Fedria. — Tu sei pur la gran matta, se vuoi dar fede alle parole di questa bestiaccia.

Pizia. — Io, quanto a me, non so a che mi dar piú fede, se non credo le cose che veggo io stessa con questi occhi.

Fedria. — Accostati tu qua a me un poco. Tu non odi? Un poco piú ancora. Basta, non piú! Or dimmi di nuovo: Cherea ti cavò egli la tua veste di dosso?

Doro. — Signor si.

Fedria.— È stato menato in casa di costoro in cambio tuo?

Doro. — Signor si, ma non l’ho veduto.