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TRADUZIONI

SCENA QUINTA Cherea e Antifo.

Cherea. — È forse alcuno qui in strada? Nessuno vi veggio. Mi vien egli dietro alcuno da questa casa? Non vi è alcuno. Mi è ancor lecito, senza sospettar di esser udito, mandar fuori tanta allegrezza, che chiudo nel mio petto? O Dio immortale, questo è il tempo nel quale non dovrei punto stimar la morte, acciò la futura vita, con portarmi qualche travaglio, non mi conturbi tanta presente allegrezza. Ma io non veggio curioso alcuno venirmi incontro, che mi séguiti ovunque io vada, mi secchi il capo e finalmente che mi cavi fuor di me col domandarmi per qual cagione io giubili tanto, dove io vadia, di dond’esca, dove io abbia buscati questi panni, e quello a che mi hanno servito, e che io mi vada facendo, e insomma se io sia pazzo o pur stia in cervello.

Antifo. —Voglio farmigli incontro e fargli il piacere che egli desidera. Che avete voi, Cherea, che state tanto allegro? Che vuol significare questo stravagante vestito? Che vi è accaduto che razzate tanto, che par che non capiate nella pelle? Siete voi forse impazzito? Perché mi guardate senza rispondermi?

Cherea. — Oh, mio felicissimo giorno! Iddio vi contenti, amico mio dolcissimo; non vive uomo alcuno in questa cittá, il quale io piú desiderassi veder ora di voi, Antifo.

Antifo. — Fatemi dunque favore di raccontarmi quanto v’è accaduto di buono.

Cherea. — Anzi, io vi priego che vogliate star a udirmi. Conoscete voi costei, della quale è si fieramente innamorato mio fratello?

Antifo. — La conosco; non è ella Taide?

Cherea. — Costei stessa.

Antifo. — Cosi mi parea ch’ella si chiamasse.

Cherea. — Oggi a questa Taide è stata donata una giovane. Che voglio ora, Antifo, star a raccontarvi i miracoli