Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. III, 1948 – BEIC 1772693.djvu/409

404

TRADUZIONI

Parmenone. — Gli anni?

Cherea. — Devono essere da sedici incirca.

Parmenone. — Ella è nel fiore.

Cherea. — Che occorre ragionarne piú? Però vedi, di grazia, ch’ella sia mia e, purché io l’abbia in mio potere, non mi curo averla o per forza, o per inganno, o per preghiere.

Parmenone. — Ditemi dunque: di chi è questa giovane ?

Cherea. — Non lo so.

Parmenone. — Di donde è ella?

Cherea. — Medesimamente non lo so.

Parmenone. — E dove abita?

Cherea. — Nemmeno so questo.

Parmenone. — Dove l’avete voi veduta?

Cherea. —Questo so ben io, e ora, venendo io qua, mi rodea fra me stesso e pensava quello che è verissimo, cioè che non vive oggi giovane al quale nella felicitá piú si attraversino le sciaure di me.

Parmenone.— Che disavventura è stata dunque questa vostra ?

Cherea. —Tale che mi ha rovinato affatto.

Parmenone. — Dite, di grazia, ciò che vi è occorso.

Cherea. — Odi, dunque: conosci tu quel vecchio, che non si lontana mai dalle coste di mio padre? il fratello di mia madre! Io so che tu non conosci altro.

Parmenone. — Come, se lo conosco!

Cherea. — Or costui, mentre io seguiva questa giovane, mi si fa incontro.

Parmenone. — Egli è stato un importuno e incomodo incontro.

Cherea. — Anzi, la maggior sciaura ch’io udissi mai, perché gli incontri incomodi son di altra sorte; e ti posso giurare che sono piú di sei, anzi piú di sette mesi che io non l’ho mai veduto, e ora mi è dato tra i piedi, quando manco bisognava. Non par questa mia una disaventura mostruosa?