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TRADUZIONI

Gnatone. — Tu "sei ancora qui, Parmenone? Non mi caverebbe di testa tutto il mondo ch’il tuo padrone, il quale deve aver udito quanto volea far il mio signor Capitano con Taide, non ti abbia posto alla guardia di questa porta, acciò egli non potesse mandarle né il dono, né farle fare da alcuno qualche imbasciata.

Parmenone. — Oh, che leggiadro motto! Certo di quei meravigliosi che piacciono a quel Rodomonte del tuo padrone. Ma, olá, veggio io venir verso me Cherea, minor figliuolo del mio padrone? È desso certo: mi meraviglio che sia partito dalla fortezza ove è stato posto alla guardia. Questa partita di lui non può essere senza qualche gran cagione. E’ ne viene molto in fretta, né mi so immaginare perché vada tanto guardando in qua e in lá.

SCENA TERZA Cherea e Parmenone.

Cherea. — Io son morto ! Ho perduto di vista la giovane, né la veggio in luogo alcuno. Dove la cercarò io e dove la troverò? Oppur, chi debbo domandarne? Qual strada terrò io per andarle dietro? Ahi, che non so che partito pigliarmi! Questa sola speranza mi consola, che, dovunque ella si sia, non può cosi esser tenuta lungo tempo ascosa, che fin fuor delle mura delle case non traluchino e’ raggi della bellezza di lei. Oh, volto leggiadrissimo! Io, come giá sazio di queste nostre bellezze ordinarie, scancello dall’animo mio la memoria di qualsivoglia altra donna.

Parmenone. — Eccoti quest’altro, che cinguetta un non so che di amore: oh, infelice padre! Certo che, se costui s’incomincia a incapricciare, egli è di tal natura che, rispetto al suo furore, diremo che l’amor di Fedria sia stato uno spasso.

Cherea. — Possa sprofondarsi quel vecchio disgraziato che mi ha oggi trattenuto. Ma io son pur stato la solenne bestia a fermarmi a udir le gofferie di lui, poiché dovea farne