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TRADUZIONI
volessi insegnargli questa mia nuova arte da buscar ben da vivere; io gli risposi, che entrasse nella mia accademia e facesse ogni suo sforzo di imitar le mie virtú, perché io voglio, a somiglianza de’ filosofi, e’ quali pigliano e’ nomi da’ loro primi autori, che i parassiti siano chiamati Gnatonici.
Parmenone. — Vedi, di grazia, che cosa faccia il mangiar col capo nel sacco e star poi tutto il giorno a grattarsi la pancia al sole !
Gnatone. — Ma io indugio troppo a condur questa giovane a Taide e ad invitarla che venga a cena col mio padrone. Ma mi par di vedere, dinnanzi la porta di lei, Parmenone, servo di quel cacazibetto del rivale del signor Capitano. A fe’.che è desso! Egli sta molto di mala voglia: non me ne meraviglio, poiché giá sanno che le cose hanno a passar molto male per loro. Lasciami un poco dar la quadra a questo ruffianaccio.
Parmenone. — Questi son cosi sciocchi, che si danno a credere di aversi guadagnato l’amor di Taide in perpetuo col dono di questa giovane.
Gnatone. — Parmenon mio, il tuo Gnaton galante ti dá il buon giorno. Che si fa?
Parmenone. — Me ne sto cosi.
Gnatone. — Lo veggio: ma vedi tu qualche cosa che ti dispiaccia?
Parmenone. — Te.
Gnatone. — Lo so senza che tu me lo dica; ma vi vedi tu altro?
Parmenone. — Nulla; ma a che proposito tu me ne domandi ?
Gnatone. — Perché m’ero diviso di vederti tutto di maia voglia.
Parmenone. — Al tuo giudizio par cosi, ma cosi crepassi tu di allegrezza, come io sto ora contento.
Gnatone. — Orsú, stammi allegro ! Ma che ti pare di questo dono!
Parmenone. — Per vita mia, che non è cattivo!