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TRADUZIONI

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Fedria. — Perché non volete voi che io le ricordi, o Taide? Taide, piacesse a Iddio che fosse uguale l’amor fra noi e che io non facessi conto dell’ingiuria, che contro ogni dovere vi piacque ieri di farmi, ovvero che ne sentiste voi lo stesso intentissimo dolore che ne sento io.

Taide. — Di grazia, non ve ne pigliate fastidio, Fedria, cara anima mia, ché ve ne priego, perché ciò non feci perché io piu affezion porti ad alcun altro che a voi, ma la cosa portava seco questa necessitá e per degni rispetti bisognò farlo.

Parmknone. — Si, per Dio, la meschina, come è solito alle puttane, per lo troppo amore che gli porta lo cacciò fuor di casa.

Taide. — Non di’ tu ancora, Parmenone, lo stesso? Ma udite di grazia per qual cagione vi ho fatto chiamare.

Fedria. — Son contento.

Taide. — Ma ditemi prima, costui qui è egli persona secreta?

Parmenone. — Chi? Io? Secretissimo. Ma avvertite che con questo patto vi do la mia fede: che tacerò tutto ciò che voi direte di vero, ma se raccontarete delle vostre solite vanitá, bugie e finzioni, subito lo dirò, per mia fe’, a chi non vorrá udirle, perché io ho uno stomaco pieno di fessure, che da ogni lato versa le bugie; però, se volete eh’ io vi sia secreto, non vi date a piantar carote.

Taide. — Or odite: mia madre si chiamava Samia ed essa abitava in Rodi.

Parmenone. — Fin qui si può tener secreto.

Taide. — Ivi allora un certo mercatante donò a mia madre una picciola fanciulla, la quale era stata rubbata qui nell’Attica, territorio di Atene.

Fedria. — Era ella cittadina?

Taide. — Stimo di si, ma non lo sappiamo ancor di certo. Questa fanciulla, ch’io vi dico, si ricordava del nome del padre e di sua madre, ma cosi ella era pulzella, che non potea ricordarsi del rimanente; questo vi aggiungea il mercatante, ch’egli avea udito da’ ladroni da’ quali l’avea compra,