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RAGGUAGLIO XCVI

[Antonio da Leva si querela appresso Apollo dell’offesa fatta agli Spa gnuoli da Giason del Maino, ma i suoi testimoni non son riconosciuti.]

Giasone del Maino, famoso iurisconsulto milanese, alcuni giorni sono in una conversazione di personaggi principali di questa corte sconciamente fu udito ragionare del modo di procedere che tengono li Spagnoli nel governar li Stati nobilissimi, che essi posseggono in Italia e in Fiandra; le quali parole essendo pervenute alla notizia del grande Antonio da Leva, poiché in Parnaso da Sua Maestá e da’ suoi ministri quei che da alcuno vengono offesi ricevono cosi compita soddisfazion di giustizia, che non, come si vede tutto il giorno accader altrove, sono forzati farsi la giustizia con le lor mani, subbito si presentò avanti Apollo, dove dell’insolenti parole dette da Giasone fece acerba querela. Incontanente per i pubblici cursori fu fatto chiamar Giasone, il quale arditamente comparve avanti Sua Maestá e, con tutto che gli fosse prefisso il termine di tre giorni a provar vere le parole che egli avea dette contro il governo delli Spagnoli, nondimeno francamente si offerse verificarle incontanente: e per tale effetto si cavò di seno alcune scritture, nelle quali da testimoni degni di fede concludentemente erano provati alcuni aggravii fatti dalli Spagnoli in Milano, in Sicilia, in Napoli e in Fiandra. Si rivoltò allora Apollo verso il Leva, che dagli occhi, dalle narici e dalla bocca visibilmente gettava fuoco ardentissimo di rabbia, e gli disse che con equivalenti prove togliesse il detto di quei testimoni. Produsse allora Antonio una fede autentica, sottoscritta da infiniti personaggi della corte di Roma, e disse che egli non era comparso avanti Sua Maestá per difender l’onor della sua nazione con testimoni vili, interessati e appassionati, come avea fatto Giasone, ma con le chiarissime prove dei primi baroni romani e de’ pili insigni prelati