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fosse stata per apportarmi maggior gloria che il cercar di difendermi, non mi sarei in modo nessuno accostato agli Spagnuoli ; ma perché questa mia azione sarebbe stata interpretata da tutto il mondo piú tosto vigliacca cordardia, che somma fedeltá, e poiché gli occhi degli uomini moderni non veggono il piú vituperoso fante di colui che, essendo nato di nobil sangue, [èj ridotto in stato di povertá, feci prudentissimamente quella risoluzione della quale non mi son pentito giammai, obbedendo al precetto di Tacito, il quale, nel travaglio grandissimo della certa ruina che un mio pari si vede venir addosso di un prencipe ingiusto, prudentissimamente insegna: «Acrioris viri esse merito perire» (0.—Fu da tutti gli circostanti conosciuto che Apollo con malissimo animo udí la difesa di Borbone, e percioché egli si mostrò perplesso nella risposta, dubitando i prencipi che erano ivi presenti che le parole di Borbone avessero nell’animo di Sua Maestá fatta alta impressione, fecero tutti instanza che in negozio tanto grave le piacesse procedere con la solita circospezione e che, per le spesse ribellioni che in questi tempi si veggono suscitar da’ baroni contro gli loro prencipi, dovea Sua Maestá dichiarare assolutamente, senza metter scusa alcuna a Borbone, egli esser incorso nella pena di quella infamia nella quale cadeno i ribelli alli loro re. Rispose Apollo ai prencipi, che egli conosceva benissimo essere espediente, per beneficio della pubblica pace, che la nobiltá de’ regni con esempi di severitá contro i baroni ribelli continuamente fosse spaventata dal commettere infedeltá verso il suo prencipe: ma che dall’altro canto, per le frequenti stravaganze e per le brutte ingiustizie che si vedono tutto il giorno far da alcuni prencipi con i loro sudditi, era anco necessario che con l’esempio di Borbone s’ammonissero i re a non dar disgusti a’ vassalli, che superino la pazienza che può trovarsi anco negli uomini buoni, e a tener conto di quei soggetti grandi che deveno esser stimati per i meriti delle loro azioni e per la splendidezza del sangue,

(1) [Tacito, nel libro I delle Storie, cap. 21.]