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luna e a nullís magis exigere, quarti quos in aequo ti de re» (I >. — Tuttoché da Apollo, da’suoi giudici e dall’udienza tutta con applauso lietissimo la difesa del Pontano fosse stata udita e per molto vera ritenuta, gli ambasciatori nondimeno di Ponto volevano replicargli, quando Sua Maestá comandò loro che tacessero, perché certissima cosa era che, come prima il virtuoso Apuleio di asino tornò ad esser uomo, in sommo orrore ebbe le stalle de’ somari.

Partiti che furono con questa poco grata risposta dall’audienza gli ambasciatori di Ponto, un virtuoso di Deio avanti Sua Maestá gravemente si querelò di un compatrioto, suo caro amico e stretto parente, il quale, appunto il piú stimato soggetto del senato laconico, esercitando il carico di maggiordomo, mentre dal suo signore ebbe ordine di trovargli un segretario, esso, che di ciò fu avvisato, strettamente lo pregò che volesse proporlo al suo signore; ma che egli, nulla stimando le sue preghiere, ingratamente li aveva preferito uno straniero da lui né pur conosciuto e nell’esercizio della segreteria di niun valore; che però contro quest’uomo, il quale in un tempo medesimo aveva mancato all’obbligo della patria, al debito delPamicizia e a quello che verso uno del suo sangue si conveniva, umilissimamente chiedeva rigoroso castigo. Data e scritta che fu questa querela, la quale da Sua Maestá e da’ giudici tutti di quell’eccelso tribunale fu riputata molto grave, all’accusato fu detto che tutto quello esponesse, che in sua difesa gli occorreva; onde egli cosi parlò: — Giá sono passati trent’anni, serenissimo monarca delle stelle, che io nella corte di Laconia mi ritrovo al servigio del senatore della qualitá che a Vostra Maestá ha dimostrato e riferito l’avversario mio, nel qual tempo non solo verso i miei compatrioti e amici in ogni lor bisogno mi son mostrato officioso, ma verso i stranieri ancora. Che l’accomodar per segretario del mio signor questo mio stretto parente e amico fosse in poter mio è vero, come anche è vero che gli preferii uno non mai piú veduto da me;

(i) [Tacito, nel libro II delle Storie, cap. 20 .]