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CENTURIA TERZA - RAGGUAGLIO XLIX igi

piu bella parte del mondo, i mercenari con quelli che pagan loro il stipendio, i poveri con i ricchissimi, gli ignoti al mondo con quei che hanno stancato le penne di tutto il mondo, si può dire, in scriver i fatti loro, e insomma i barbari con gli Italiani, i dissoluti, per tacer di chiamarli con nome piú proprio, con i sobrii.

Fu, e con grandissimo silenzio, udita l’arrenga dell’orator veneziano e a tutti piacquero ragioni tanto rilevanti ; ma poi, salito nel suggesto l’avvocato tedesco, è fama che dicesse queste parole: — Posso con veritá dir in questo teatro augustissimo delle scienze e delle buone lettere, o divinissimo Apollo delfico, che le orecchie sacratissime di Vostra Maestá hanno altrettanto conosciuto esser il clarissimo avvocato veneziano dissoluto con la lingua, come noi dice che siamo ne’ nostri candidissimi conviti; ma perché questo divinissimo concistoro non admette le ingiurie e ha in orrore le parole pungenti e le altre reazioni, trattarò solo la causa, per la quale son comparso in questo pergamo. Sdegnano, o sire, i Veneziani di aver la nazion nobilissima tedesca per competitrice e stimano vii paragone alla lor republica le nobilissime Libertá di Lacedemoni, di Ateniesi e di tutta la famosissima Grecia; ché, se questa non è petulanza simile a quella, che essi Veneziani mostrano di aver in odio, che le copie vogliono competer di maggioranza con gli originali, ditelo voi, o virtuosi, che sapete quante leggi, -e di Lacedemoni e di Corinti e di Ateniesi, abbino i Veneziani trasportate nella loro aristocrazia. Di una sola cosa rimango in infinito maravigliato: che questi miei competitori disprezzino fino quella nazion greca, dalla quale essi hanno grandissima origine, come l’abito stesso del prencipe della lor republica ne fa chiaro testimonio e la quale essi ora sostengono per loro grandissimi interessi fino nel fatto della religione, percioché, volendosi i Veneziani far uguali nostri in ogni cosa, pretendono ereditar l’imperio greco, come noi il romariò...