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tamente nel tavolier della sorte gettò il dado di tutta la grandezza della sua fortuna, potè dire quelle famose parole: — O Cesare, o nulla.

Poi il censore si voltò verso il nobilissimo Granducato di Toscana e, acremente riprendendolo, che con quelle sue galere egli andava stuzzicando il vespaio, gli ricordò le calamitadi e gli strazii che patirono i cavalieri di San Giovanni in Rodi, in Tripoli, e il pericolo grande, che ultimamente corsero in Malta, solo perché imprudentemente avevano voluto attaccar le zaganelle al toro; e che ogni saggio prencipe cristiano piuttosto doveva favorir la presente dappocaggine dei Turchi, che con ingiurie di poco utile, e che possono apportar altrui molto danno, svegliarli e necessitarli ad applicar di nuovo l’animo alle cose marittime, in questi tempi giá abbandonate da essi; gli ridusse anco alla memoria le molte querele d’infiniti popoli, che grandemente si dolgono che, per lo commercio .ch’egli impediva all’Italia delle merci di Levante, tutte le droghe che venivano d’oltremare grandemente erano incarite. A questa correzione rispose il Granducato di Toscana, che non poteva chiamarsi perfetta la potenza d’un prencipe, che con un numero di legni armati non aveva qualche dominio nel mare, e che le sue galere non solo alla grandezza toscana, ma alla sicurezza della libertá di tutta Italia sommamente erano necessarie, come quelle che servivano per scuola di marinari, per seminario di capitani e di soldati di mare; che confessava vero il danno ch’elleno facevano al commercio della mercanzia, ma che ricordava ad ognuno, che il mestier della guerra e per terra e per mare non si poteva. imparar dai soldati, né esercitar dai prencipi, senza apportar altrui danno; e che, nella Toscana generandosi molta immondizia di cervellacci inquieti, d’umori stravaganti, egli aveva somma necessitá di quelle galere, ch’erano il porta mondezze del suo Stato, con il quale egli lo manteneva netto, servendosi per forzati di quei che giá avevano operato male, per soldati di quelli ingegni eterocliti, che per l’inquieta natura loro si temea che fossero per far peggio.

T. Boccalini, Ragguagli di Parnaso - in.

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