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il piede nella soglia della porta, un gran monarca fu udito dire che anco Parnaso cominciava a divenir stanza di uomini triviali, poiché fino vi si ammettevano i cantimbanco e i ciurmatori. Queste parole, dette con voce alquanto alterata, furono udite dal Cieco; il quale alla sua guida subito dimandò chi fosse stato quello che di lui cosi malamente aveva sparlato. —Taci — rispose allora la guida, — o cieco, cavati il cappello e, come ti si conviene, con una molto profonda riverenza onora chi ti ha ingiuriato, perché è stato il potentissimo re d’Inghilterra Enrico ottavo. — Allora arditamente cosi disse il Cieco: — Messer Enrico, se volete fare l’Orlando e affogar le persone con le bravate, ritornate in Inghilterra, ché in Parnaso tutti siamo uguali ; e se i cantimbanco fossero indegni della stanza di Parnaso, non so come vi sareste capitato voi, che ben sapete con quali ballotte avete ciurmati gl’ Inglesi. — Per risposta cotanto mordace grandemente si aiterò il re Enrico, per se stesso di genio furibondo, e volle avventarsi alla barba del Cieco, che molto è lunga, per carporirgliela tutta; ma si raffrenò quando bene ebbe considerata l’imprudenza grande che commettono gli uomini onorati allora che di parole gareggiano con chi non ha riputazione da perdere. Come prima dunque il Cieco giunse avanti il cospetto di Apollo, dalla sua guida si fece dar la celeste lira fabbricata dal virtuoso Pietro Petracci, che poco prima aveva ricevuta d’Italia, e animosamente addimandò a Sua Maestá che lo favorisse di proporgli un soggetto, sopra il quale, alla barba de’ poetucci stitici che quaranta settimane si spremevano per far un misero sonetto, si proferiva di cantar cento ottave all’improviso. Si burlò allora Apollo del Cieco, che co’ deboli versi suoi fatti all’improviso pretendesse di dar soddisfazione in quel luogo, dove co’ ben limati versi loro, fatti al lume della candela, diffícilmente riuscivano i piú virtuosi poeti; e cosi gli disse: — Cieco, io non giá per dilettazion ch’abbia de’ tuoi versi cantati all’improviso ti ho ammesso in questo iuogo; ma solo acciò nel pubblico ginnasio, che ti sará consegnato, a’ miei letterati diligentemente insegni l’arte importantissima di bene e sicuramente camminare. — Allora Girolamo Morone, segretario