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all’utilitá; e grandemente t’inganni se credi che allo studio dell’istoria altri attenda per imparar la frase di una ben tersa lingua greca, latina, italiana, francese, ma il solo fine di cosi onorato studio è far acquisto di quella prudenza, che solo si beve dalla frequente lezione delle cose passate. E benché io sommamente commendi la tua pomposa frase, il molto terso dir di Cesare, voglio però che tu sappia che queste, che tu stimi le prime, sono le ultime lodi di un perfetto istorico. L’anima dell’istoria, che lungo tempo viva la mantiene tra le genti e che sommamente cara la rende ad ognuno, è la veritá e l’esplicar i piú reconditi consegli, i piú occulti pensieri de’ prencipi e gli artifici tutti, ne’ quieti tempi della pace e nelle turbulenze della guerra, usati ne’ governi degli Stati loro: i quali, ancor che sieno scritti nel vilissimo latino bartolesco, tanta dilettazione tuttavia dánno agli animi virtuosi, che eterni rendono gli scritti di colui che ha ingegno di saper tessere istorie tali. E tra questi tanto principale io stimo il giudiziosissimo Comines, che non solo degnissimo lo giudico della stanza di Parnaso, ma il primo luogo comando che li sia consegnato tra gl’istorici tutti francesi. —

Giá l’ora molto era tarda, e Apollo, nell’attentamente ascoltar la lezione di tanti scritti e nell’udir le domande di cosi gran numero di letterati piú che molto essendosi affaticato, non poco pareva affannato. Quando il Berni, il Mauro, il Molza e altri piacevoli e gioviali poeti, affine di rallegrar l’animo di Sua Maestá, nella curia fecero entrare un poeta cosi sordidamente vestito, che, tutto essendo stracci sopramodo affumicati, poco dissimile era da uno spazzacamino. Costui con risa grandi del senato si condusse avanti Apollo, al quale con una scompostissima riverenza presentò un suo poema molto unto. Allora Sua Maestá li domandò chi egli fosse; al quale avendo egli risposto che era l’autore del famoso poema di Bove di Antona, Apollo mostrò di aver cognizione di iui, t e li disse ch’egli era l’Ariosto de’ pizzicaroli ; appresso poi con attenzion tale lesse Apollo un canto intiero di quel poema, che, alcuna volta inarcando fino le ciglia, grande ammirazione diede ad ognuno che in cosa di