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non fede alcuna da obbligar gli uomini, dalla quale non solo con mille cavillazioni, ma con una sfacciata impietá non si sciolgano. Tuo dunque, o dilettissimo Timoteo, dopo me e queste mie serenissime dive, sia il primo e piú onorato luogo di questo mio virtuoso senato; e dalla gloria, della quale ora da me sei stimato meritevole, qualsivoglia impari che ’l costantemente, anco nelle cose all’interesse proprio dannose, mantener la parola impegnata e la fede data cosi gran riputazione acquista altrui, che, senza comparazione alcuna, della perdita delle cose terrene molto maggiore è la gloria che altri acquista negli animi di ognuno. —

Con questo felicissimo successo ebbe fine la causa del bene avventurato Timoteo, quando nella curia con mirabil gravitá e col corteggio di molti baroni comparve il cattolico re di Spagna Ferdinando di Aragona; il quale con Sua Maestá acerbamente si querelò che, essendo cento anni ch’egli perpetuamente faceva istanza di essere ammesso in Parnaso, giammai però non aveva potuto conseguire il desiderato fine dell’onorato intento suo; e che non solo a lui, ma a tutti quelli i quali notizia avevano della sua persona, grave torto pareva che li si facesse a negarli quella stanza che ad infiniti, a lui di merito e di grandezza di Stato inferiori, con facilitá grande veniva conceduta. Al re Ferdinando rispose Apollo, essere antichissimo stile di Parnaso che i prencipi, che facevano istanza di essere ammessi nel suo Stato, da’ letterati della lor nazione, come quei che de’ meriti de’ loro re meglio erano informati, fossero ballottati, e ch’egli perciò in modo alcuno non voleva romper quegli ordini, i quali l’uso perpetuo di cosi lungo tempo aveva approvati per buoni; e appresso avendo Sua Maestá comandato che di nuovo corressero i voti, con gravi parole alla virtuosa nazion aragonese ricordò l’obbligo strettissimo che appresso Dio e gli uomini ella aveva, di ponderare i meriti de’ suoi re con la sola bilancia dell’animo affatto libero da tutte le passioni. Raccolti poi che furono i suffragi, tutti furono trovati esser disfavorevoli, per la qual tanto reiterata ingiuria gravemente essendosi Ferdinando alterato: — Sire — disse, —dunque un re mio pari dalla sua ingratissima