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la diligenza esquisita usata nella tessitura di quelle sue eterne fatiche: le quali liberamente dissero esser tali, che, dopo la declinazione della lingua e della monarchia romana, non altro istorico latino si trovava, che nella istoria latina piú si fosse avanzato di lui. Solo alcuni accapati letterati dissero che nelle Istorie di quel prelato averebbono desiderata un poco di quella politica e di quelle sentenze cavate dagl’intimi penetrali della ragion di Stato, della quale il Tacito latino da Terni e l’italiano da Fiorenza sono stati censurati di aver troppo. Appresso poi acerbamente fu ripreso delle voragini che vastissime si veggono nelle sue Istorie ; e con aperta alterazion di animo li dissero i censori che, se ai virtuosi cosa tanto insopportabile era veder in Livio, in Tacito, in Dione e negli altri famosi istorici, le fatiche de’ quali per l’ingiuria del tempo si erano perdute, la mancanza di scritti tanto preziosi, affatto intollerabile era nelle sue. Né buona li fu menata la scusa, ch’egli addusse, che i libri che mancavano si fossero perduti nel sacco di Roma; perché i signori censori liberamente gli rinfacciarono che, se quelle preziose ore del verno inanzi la cena, ch’egli gettò nel dare col suo giovial genio trattenimento agl’illustrissimi cardinali Farnese e Carpi, utilmente avesse spese nel riempir le buche della sua Istoria , non tanto averebbe disgustati i letterati suoi amorevoli. Dopo la relazione de’ signori censori fu aperta la porta della sala, e ad ognuno fu data licenza di poter al Giovio appor tutto quello che di male avevano notato nelle fatiche di lui. Onde da Natal Conti fu accusato di soverchiamente aver lodato Cosimo de’ Medici, granduca di Toscana, e che, corrotto da’ doni del marchese di Pescara e di quello del Vasto, aveva scritte prodezze tali, che da un compositor di romanzi poco maggiori si sarebbono potute raccontare degli antichi paladini di Francia. All’accusa di Natal Conti risposero i censori che anch’essi avevano notato che nelle lodi del granduca Cosimo e dei due marchesi Davali il Giovio usato aveva diversitá d’inchiostro, ma che trovavano che per decreto di Sua Maestá la licenza conceduta a’ poeti di poter far le france di oro e i raccami di gioie alle vesti dei loro liberali mecenati, in odio di certi