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mio, fatto ora contro Apuleio mio signore quello che hai veduto e che tanto ti dispiace, ma sensatamente, con deliberazione premeditata e lungo tempo consultata da me. E sappi che le bastonate, che pur ora ho ricevute, ancor che mi abbiano abbruciato e che intimamente mi abbrucino ancora, mi sono tuttavolta state dolcissime, perché, avendone io ora in una sol volta ricevute cinquanta, son sicurissimo che piú di cento me ne sparagnano il mese, e le migliaia l’anno. E nota Beroaldo, che per lo risentimento, ch’ora hai veduto c’ho fatto contro Apuleio, per l’avvenire egli piú circospetto anderá coi fatto mio. L’ubbidienza di subito eseguir quello che ne vien comandato, la sommissione di sopportar ogni sorte di maltrattamento che ne faccino i nostri padroni, conosco esser cose necessarie e fruttuose, con que’ padroni però che si lasciano vincere dalla umiltá di chi serve, e che il buon servigio contracambiano con la gratitudine de’ migliori trattamenti. Ma con certi bestioni indiscreti, che, come tu sai che è il nostro Apuleio, co’ miei pari si dilettano di far il gradasso, sappi che il fare alcuna volta la risoluzione che hai veduta è un rimetter loro il cervello nel capo. E guai a colui che, con il suo padrone bizzarro vivendo con una perpetua umiltá, non ha cuore di far ogni anno uno di quei risentimenti, che hanno forza di convertire le ingiurie in sberrettate ! Né per altra cagione con noi somari piú che co’ muli tanto si adopera il bastone, eccetto perché quelli eccellenti dottori sono nell’arte di saper ben tirar i calci, ove noi con la nostra pacienza diveniamo calamita delle bastonate; e tu, Beroaldo, molto meglio di me conosci oggigiorno co’ padroni « nihil profici patientia, itisi ut graviora, tamquam ex facili tolerantibus, imperentur » h).

(i) Tacito, nella Vita di Agricola [cap. 15].