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RAGGUAGLIO XCII

Apollo, avendo avuto nelle mani un notorio ipocritone, di lui piglia severissimo castigo.

Cosi intenso e implacabile è l’odio che la Maestá di Apollo porta al viziosceleratissimo dell’ipocrisia, che, fin dall’ora ch’egli contro essi pubblicò quel severo edito, del quale gli ordinari passati si diede pienissimo ragguaglio, premi molto grandi promise a quei che a’ suoi giudici simili Luciferi avessero denunciati. E giá sei giorni sono, essendosi avuta notizia certa di uno di essi, Sua Maestá subito li fece por le mani addosso: e, fattoiosi condurre avanti, allo stesso primo sguardo che fissò in lui, lo conobbe compitissimo ipocrito. Onde con isdegno grande avendolo spogliato di tutte le apparenze, di tutte le finzioni e di un numero grande di falsitadi, in ultimo da dosso gli strappò il manto di orpello della finta bontá, della quale quello scelerato tutto si era ricoperto, e a’ suoi circonstanti virtuosi ne’ puri termini lo mostrò della sua diabolica ipocrisia; e appresso comandò che, per ispavento degli altri che attendono a cosi vergognosa sceleratezza, quel ribaldo fosse legato alla porta del tempio delfico: come subito fu eseguito. Mai piú gli occhi degli uomini videro mostro né fiera né altra cosa infernale piú orrenda e spaventevole di colui, che per ricoprir vizi veri si serviva della finta bontá; perché allora negli occhi di quello scelerato, che prima lo sguardo aveva sopramodo pietoso, si scorgette una malignitá oltre ogni credenza intensa: nelle parole, che prima erano tutta umiltá, una superbia da tiranno: negli atti tutti, che prima solo facevano ostentazione di contentarsi del poco e di scandalizzarsi del molto, una voracitá tale di posseder tutto il mondo, che pubblicamente affettava che il genere umano tutto si fosse ridotto alla miseria di mendicar il pane da lui. Oltre di ciò in quello scelerato un genio cosi invidioso si vedeva, che non altra cosa piú intensamente bramava, che ’l sole non ad altri avesse