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RAGGUAGLIO LXXXIV

Per un suo nuovo editto avendo Apollo a’ poeti proibito il poter piú ne’ versi loro cantar animale alcuno favoloso, per l’instanza grande che ne fecero i medesimi, Sua Maestá comanda la rivocazion di lui.

Quattro giorni sono, di espresso ordine d’Apollo il pretore urbano di Parnaso a suon di trombe ne’ luoghi consueti fece pubblicare un editto di questo tenore: « Che, in modo alcuno non volendo Sua Maestá tollerare che nella mente degli uomini, che solo dee esser albergo di una incorrotta veritá, da alcuno vi sia seminata la bugia, essendoli pervenuto agli orecchi che i poeti negli scritti loro per veri avevano pubblicati i tritoni, i basilischi, gli alicorni, le sirene, gl’ ippogrifi, le fenici, le sfingi, i centauri e altri animali, i quali cosa chiara era che la madre natura giammai non aveva avuto pensiere di procreare al mondo; e che dalla pubblicazione di cose tanto favolose nascevano molti mali, intendendosi particolarmente che alcuni notorii barri avevano cominciato a far mercatanzia dell’osso dell’alicorno, il quale a prezzo molto caro vendevano alle persone semplici: per quel suo perpetuamente valituro editto, gli animali e le altre cose dette di sopra dechiarava espresse bugie, favole e invenzioni mere poetiche. Che però comandava che i poeti dovessero per l’avvenire astenersi dal commettere cosi fatti disordini, e che ne’ versi loro cosa alcuna non potessero cantare, che veramente prodotta e creata non si vedesse dalla natura, sotto pena a’ contraffattori dell’esilio da Parnaso». Talmente per cosi fatta novitá si alterarono i capricciosi ingegni de’ poeti, che subito si radunarono nell’accademia loro: dove di comun consenso elessero l’eccellentissimo Iacopo Sannazzaro, affine che facesse istanza per la rivocazione di quell’editto, tanto alle poesie loro pregiudiciale. Si presentò subito il Sannazzaro avanti il pretore, col quale acerbamente si dolse che, in un secolo pieno di tante bugie, solo si attendesse a proibire le virtuose invenzioni de’ poeti: cosa degna