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RAGGUAGLIO LXXVIII

Il dottissimo Anneo Seneca, vedendo che la riforma ultimamente da lui fatta sopra la soverchia splendidezza del suo vivere dall’universale di Parnaso malamente era stata intesa, in un’opera da tutti grandemente lodata distribuisce le sue immense ricchezze.

Cosa veramente degna di molta considerazione è che, gli scritti del sapientissimo Anneo Seneca essendo colmi di precetti cosi santi, di documenti per la vita delle genti tanto eccellenti, che l’autor di essi altrui fanno parer uomo di somma bontá, ogni giorno nondimeno egli talmente si vegga in Parnaso andar calando di credito, che dalla maggior parte dei virtuosi di questa corte è ora tenuto in pessima considerazione. Di che avvedutosi Seneca e temendo non la copia de’ molti servidori ch’egli aveva nella sua casa, non la splendidezza degli abbigliamenti, la ricchezza dell’argenteria, la grandezza di una reai guardarobba non solo appresso gl’invidiosi e maligni suoi emuli, ma ancora co’ virtuosi suoi amorevoli gli scemassero la riputazione, pochi giorni sono sparò le stanze, vendette gli apparamenti, l’argenteria, la guardarobba tutta, e in un giorno medesimo licenziò i tre quarti della sua famiglia. Risoluzione che dai letterati tutti di questo Stato in infinito fu lodata e celebrata, e operò che la riputazione di Seneca, di giá sepolta, viva risuscitò nell’opinione delle genti; ma tra brieve tempo ella ritornò a morire, perché quei sottilissimi investigatori delle corti che, sfaccendati delle cose proprie, tutti si occupano nel cercare i fatti altrui, vennero subito in cognizione che Seneca de’ danari cavati dalla ricca suppellettile poco prima venduta, aveva creati censi con frutti piú dell’ordinario ingordi. Onde la medicina, che Seneca stimò che liberar dovesse la sua riputazione dalla febbre della mala opinione dalla quale piú che molto si trovava oppressa, talmente aggravò il male, che in pericolo si vide posto di dover tra brieve farle lacrimevoli e molto lugubri esequie. Onde, per