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ne’ meriti si veggono oppressi e afflitti. E di qui nasce che noi infermi con perpetue e grandissime strida, piú della gravezza del nostro male, ci dogliamo della medicina non proporzionata alla nostra infermitá, de’ medici che, nel curarne, per loro fine non, come doverebbono, hanno la nostra buona salute, ma il cotidiano guadagno di esercitar la dominazione, di pascer col cibo degli altrui strapazzi la sempre famelica loro ambizione. Ma, quello che piú ne travaglia, deesi, o sire, in questo nostro secolo tanto corrotto e depravato cominciar l’importantissimo negocio della riforma dai piú spelati e disfatti uomini ch’abbia Parnaso? Noi, come Ella vede, per la maggior parte siamo grammaticucci morti di fame, falliti correttori di stampe, ipodidáscali disfatti e spelati poeti volgari, di cosi miserabil condizione, che de’ concetti viviamo che da’ fecondi ingegni de’ poeti e degli oratori latini tutto il giorno andiamo mendicando. Che se ne’ nostri cotidiani bisogni dalla benignitá del nostro sempre venerando messer Ambrogio Calepino largamente non fossimo sovvenuti, se dall’abbondantissima dispensa del nostro Cornucopia non ricevessimo il vitto e dalla guardarobba di Mario Nizzolio il vestito, qual altra sorte di gente, per mendica che ella si sia, uguagliar si potrebbe alla nostra? Ma, per parlar con la Maestá Vostra con quella libertá di lingua che tanto è propria di chi sepolto si truova nella disperazione, i latrocini di Ausonio Gallo, l’esecranda avarizia e l’immensa ambizione di Seneca, la scorrettissima lingua di Marziale, la perfidia di Aristotile, le sfrenate libidini di Catullo, di Tibullo e di Properzio, le velenose maledicenze di Giovenale e di Persio, l’impietá di Luciano, i ruffianesimi e le altre oscenitá di Ovidio e quelle libidini di Vergilio, le quali, per non offender le caste orecchie di Vostra Maestá, nemmeno mi è lecito ricordare in questo luogo, sono quei che co’ dissoluti vizi loro lo Stato di Parnaso hanno condotto nel termine miserabile nel quale lo vediamo tutti; e pur questi, che liberamente posso chiamar soli e veri autori di tanti scandali, tutti sono personaggi grandi, primi baroni de’ letterati, e in questa corte tanto potenti, che i loro vizi sono reputati