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siamo a Vostra Maestá le nostre colpe di qualitá esser gravi, di numero infinite, e degnissime di esser emendate; e non solo, come crede Vostra Maestá, non abbiamo in odio, ma sommamente amiamo le riforme e i riformatori: ma la rabbia di vedere che ’l fine de’ nostri riformatori lontanissimo è dal pretesto col quale hanno palliate le nostre riforme, nelle mani ne ha poste queste armi della disperazione, eh’Ella vede; perché, quando quei che pretendono di riformarne, come zelanti medici del nostro bene, apertamente ne facessero conoscere che non altro vogliono da noi che la nostra salute, tanto volentieri ne sommetteremmo al giogo soavissimo delle riforme, quanto qualsivoglia uomo onorato di tutto cuore dee amare il vivere virtuoso. Ma è giá gran tempo che dopo tanti nostri strapazzi ci siamo finalmente chiariti che, non per caritá che si abbia verso noi, non per zelo di levar dal mondo gli scandali questa riforma è stata introdotta sopra di noi, ma col sagacissimo fine di sempre mantener nell’imperio di comandar agl’inferiori que’ gran letterati, che tanto hanno in odio la vita privata e lo starsi senza dar pasto all’ambizione grandissima c’hanno nell’animo. Quindi è, serenissimo prencipe, che questa nostra riforma piena si vede di querele e di animi infelloniti contro questi nostri riformatori; i quali scioccamente essendosi dati a credere con la sola buona intenzione, che mostrano di fuori di aver nella riforma, di corregger que’ vizi negli uomini e di scacciar quella ignoranza dal mondo che tanto lo difforma, solo basta loro che noi ci dogliamo: a questo solo studiando, che le nostre querele, solo cagionate dal brutto modo di procedere che si tien con noi, il mondo creda nascer solo perché la medicina della correzion nostra ne fa nausea; e pur lo contrario è vero. Perché dalla mala opinione che, piú di quello che vuole il dovere, pubblicamente si ha di noi, sopramodo trovandoci noi aggravati, e dalla soverchia autoritá di chi piú può in Parnaso ogni giorno piú vedendoci crudelmente oppressi, ancor che ad alta voce gridiamo giustizia, niuno però è il quale pur ne ascolti, non che ne esaudisca. Perché gli uomini potenti anco ne’ demeriti loro sempre sono onorati ed esaltati: i disfatti, come noi, anco

T. Boccalini, Ragguagli di Parnaso - 11 .

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