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delle corti, la perfidia dei cortigiani, l’instabilitá delle cose terrene apertamente mi fecero conoscere le grandezze di questo mondo, con agonie tanto grandi procacciate, con istenti tanto insopportabili maneggiate, con pericoli tanto brutti possedute, altro non essere che mere vanitadi; e quello, che ora, posso dir nell’ultimo mese, ho posto in esecuzione, non feci il primo giorno della servitú mia in questa corte, solo affine di entrar in questa famosissima setta con tutta quella compiuta riputazione che ad un mio par si conveniva. Perché non volli che ’l mondo sospettasse che io per viltá di animo amico dell’ozio, inimico degli stenti, per debolezza di talento non atto a conseguir le dignitadi piú supreme, per impacienza di non poter tollerare gli amari disgusti delle corti, o per alcuna disperazione che le cose avverse di casa mia mi avessero cagionata nell’animo, io avessi abbracciata la setta stoica: ma per solo conseguir que’ beni, che nella solitaria e virtuosa vita sogliono esser posseduti da quegl’ingegni che, nati alle lettere, altro piú non bramano che di saper molto. Ora che io per ritirarmi a miglior vita abbandono lo stato felicissimo che sapete tutti, e gli amici e gli emuli e gli inimici miei son piú che sicuro che loderanno la risoluzion mia; perché allora con riputazion sua infinita altri abbraccia la povertá, che abbandona le ricchezze: la vita solitaria, che lascia i negozi gravi e lucrosi; e allora i miei pari con molta gloria loro dánno de’ calci alle pompe e alle vanitadi di questo mondo, che con gli onorati sudori loro nelle corti de’ prencipi grandi hanno saputo conseguire i carichi piú principali, le dignitadi piú supreme.