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fuor di Toledo, con l’imperatrice sua moglie ritornava alla cittá: perché il duca deH’Infantago, ad un agozzino di corte, che con una bacchetta aveva percosso il suo cavallo dicendoli che affrettasse il camminare, avendo data una gran coltellata nel capo, non solo non stimò bene far di quella azione commessa in un officiai pubblico e in sua presenza risentimento alcuno contro il duca, ma, con quella prudente e buona giustizia che si dee usar verso un nobile offeso da persona vile, fece sapere al duca, se gli era di gusto, che facesse impiccar quel temerario: cosa che il duca non solo non volle tollerare, ma con magnanimitá castigliana supplicò l’imperadore a perdonargli, ed egli appresso al ferito mandò cinquecento scudi, acciò il meschino commodamente fosse medicato. Appresso poi soggionse Apollo che, tre essendo le somme felicitadi che contento rendevano il genere umano, la pace, la giustizia e l’abbondanza, se i prencipi che governavano il mondo non vi avevano la debita circospezione, la severa giustizia solo serviva per render superbi i mascalzoni, la pace universale per far codardi i popoli, l’abbondanza perpetua per render i sudditi, che prima vivendo delle loro fatiche erano industriosi, oziosi, inutili e vagabondi. E che, verissimo essendo che i prencipi erano i pastori del genere umano, la plebe la gregge, la nobiltá i cani che guardando l’ovile lo difendono da’ lupi, verissimo era ancora che per ogni ragion di buon governo faceva bisogno di mantener questi arditi, e piú tosto coi collari del ferro della generositá armarli contro i lupi, che con lo spavento di una ugual giustizia, tanto propria degli uomini ignoranti, invilirli fino al segno che le stesse pecore con le corna di una insopportabile insolenza avessero ardire di urtarli.