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RAGGUAGLIO LXV

Un bottegaio, nell’ora stessa che dagli sbirri è catturato, senza neppur esser esaminato, vien condennato alla galea.

Il bottegaio, che nella strada grande della Merciaria teneva l’insegna delle « Due corone», quattro giorni sono dagli esecutori della Quarantia criminale fu fatto prigione; e, perché il misero fu subito accappucciato e di peso portato al porto e posto alla galea, Parnaso tutto grandemente rimase maravigliato che l’esecuzione della condannagione di quello sfortunato fosse preceduta alla fabbricazion del processo. Si dice il tutto esser seguito ad instanza de’ primi monarchi dell’universo residenti in questo Stato, i quali gravemente si sono chiamati offesi da quel bottegaio, perché pubblicamente teneva il «fumo fino» da vendere: mercatanzia che i prencipi pretendono che in modo alcuno non possa esser venduta dagli uomini privati; e però si crede che con l’esempio di quello sfortunato abbiano voluto spaventar gli altri a non li turbare nelle cose che concernono la loro giuridizione. E ancor che gli uomini grossolani abbiano stimato che l’error del bottegaio non meritasse tanto risentimento, quei, nondimeno, che bene addentro penetrano gl’interessi de’prencipi grandi, hanno detto che anzi molto morbidamente l’abbiano trattato, perché, il «fumo fino» in molte occasioni a’prencipi servendo invece di oro coniato, ben presto ogni loro ancorché ricchissimo tesoro si sarebbe votato, quando, la tanto corrente moneta del « fumo fino» appresso le genti divenendo vile, i prencipi fossero forzati alla plebea pagar i debiti loro in danari contanti.