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comparve avanti Apollo, e appresso lui non solo acerbamente si querelò dello scelerato assassinamento usatoli dalla nobiltá dell’Attica, ma gagliarda istanza fece che per cosi esecranda temeritá e sfacciatissima ribellione come traditori fossero depinti nella gran torre pegasea. Degna di grandissima considerazione da Sua Maestá fu stimata simil causa: onde per un suo rescritto la commise al Conseglio reale di guerra. Le ragioni dell’una e dell’altra parte dai consiglieri piú volte furono considerate e ben discusse; i quali sentenziarono alla fine: che stante le offerte dalla nobiltá dell’Attica tanto prontamente fatte al prencipe della Macedonia e la rifutazione di esse fatta da lui: che essendosi veduto che per altri suoi privati interessi egli avea risoluto di abbandonar la difesa della cittá: che a que’ nobili, derelitti da quella protezione del signore loro, alla quale i prencipi tutti sommamente sono obbligati, per sicurezza delle vite loro era stato lecito pigliar quello ancorché rigoroso espediente. Maraviglia molto grande a tutti quei che a cosi segnalato giudicio si trovarono presenti, diede l’azione che in quell’atto fu veduta farsi al signor Ludovico Ariosto; il quale, udita che ebbe la pubblicazione di quella sentenza, a guisa di forsennato gettò il cappello, che si era cavato di capo, in terra: poi, alzati gli occhi verso il cielo, con un sospiro che gli usci dal cuore e con voce molto dolente disse queste parole: — Dii immortales, homo homini quid praestat? Stulto mtelligens quid interest?