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RAGGUAGLIO LXIII

In Corinto, al governo della qual cittá si trovava don Ferrante Gonzaga, un soggetto principale avendo commesso un grave eccesso, il governatore da Domizio Corbulone è esortato a severamente risentirsene: conseglio che il Gonzaga saggiamente rifiuta.

Il signor don Ferrante Gonzaga, alcune settimane sono, fu mandato al governo di Corinto: carico altrettanto importante quanto difficile, essendo quella provincia piena di una nobiltá potente per ricchezze e per la qualitá degl’ingegni, che vi sono superbi e veramente nati alle armi; la quale non solo ha l’ordinario costume de’ nobili di maltrattar chi meno può, ma, per le antiche fazioni vivendo in perpetue gare, rade volte accade che l’officiale, il qual governa, sia d’ingegno tale, che ad Apollo e a’ popoli dia compiuta soddisfazione. Non ancora era passato il primo mese del governo del Gonzaga, quando accadde che uno de’ piú principali soggetti della nobiltá commise una insolenza di molta considerazione; e percioché don Ferrante non solo molto perplesso fu veduto nel vendicarla, ma ad infiniti parve che quell’ingegno grande per lo caso occorso molto si fosse contristato, Domizio Corbulone, prode cavalier romano, amorevolissimo del Gonzaga, l’avverti che alle mani gli era capitata la seconda bellissima occasione che della medesima risoluzione aveva bisogno, che nel governo di Sicilia contro que’ soldati spagnuoli, che gli si erano ammotinati, seppe praticare; che però del caso, che nel suo governo era occorso, anzi doveva rallegrarsi che affliggersi, perché gli officiali, che comandavano nelle province dove si trovava molta nobiltá sediziosa, chiamar si potevano fortunati allora che nel principio del governo loro occorreva che da un soggetto nobile fosse commesso delitto alcuno grave, con l’esemplar castigo del quale cosi fatto spavento si dava alla nobiltá inquieta, che per lunghissimo tempo si accommodava il governo di tutta la provincia: precetto che