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RAGGUAGLIO XLVI

Per l’infelice memoria della perdita delle Deche di Tito Livio, il decimo giorno di luglio è in Parnaso mesto e lugubre.

Ieri, che fummo alli dieci di luglio, per antico uso di Parnaso è stato giorno lugubre, perché si sa certo che in simil giorno di infelicissima memoria per l’incendio della biblioteca capitolina fu fatta quella grandissima perdita della maggior parte delle preziosissime Deche di Tito Livio padovano, che con vere lagrime piangono e amarissimamente mai sempre piangeranno gli amatori delle buone lettere; nel qual giorno per segno di straordinaria e grandissima mestizia l’atrio, il regai palazzo tutto di Sua Maestá, le basiliche, i pubblici ginnasi e i piú famosi fòri si videro coperti di cotone, e la stessa biblioteca delfica (cosa insolitain qualsivoglia altra occasione di caso infelicissimo) tutto quel giorno si vide chiusa. Onoratissime esequie sono state fatte a scritti tanto famosi: e, fornita che fu la cerimonia, Rafael Volaterranocon una lagrimevole orazione deplorò tanta perdita; e appunto allora ch’egli era nel fervor maggiore della sua invettiva contro l’ignoranza di que’sacrilegi che cosi lugubre incendio avevano cagionato, occorse che un leggiadrissimo poeta, o che veramente da un’intima compunzione di straordinaria tenerezza di animo si sentisse commovere, o che, con mostrare a tutto il virtuoso collegio che quella perdita infinitamente li doleva, appresso ognuno volesse acquistarsi riputazione, proruppe in cosi gran pianto, che all’oratore impedi il piú poter esser udito. Né, ancorchédiordine degli eccellentissimi signori censori li fosse detto che tacesse, essendosi potuto quel letterato acquetare, Apollo, che all’esequie si trovava presente e che per cagion del lutto era ricoperto di una oscura nube, impaziente di quello strepito, per poter rimirar in faccia colui che tanto dirottamente piangeva, con la violenza de’ suoi raggi diradò la nube, e conobbe esser Cesare Caporali, il quale, non essendosi