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instante si pose in viaggio per la vòlta di Roma, che gli onoratissimi titoli di « magnifici », di « spettabili », di « strenui » e di « generosi », per téma ch’ebbono de’ medesimi affronti, ascosamente fuggirono dal Regno. Giunto che il « messere » fu in Roma, da que’ cortigiani, che molto tempo prima con indegnitá grande si erano vestiti la giubba d e 11 ’ « illustre », del «molto illustre », e che fino tra poco tempo speravano di manometter l’« illustrissimo », con pessimo occhio fu veduto; per le quai difficultadi il «messere» s’incamminò alla volta di Parnaso, dove giunse pochi giorni sono. E presentatosi avanti Apollo, prima li narrò la crudeltá di tutte le sue persecuzioni, e appresso strettamente lo supplicò che qualche stanza volesse concederli, ove avesse potuto riposarsi, fin tanto che l’influsso dell’ambizione, che anco gli uomini buoni aveva ammaliati, si fosse partito dal mondo. Estremamente compatí Apollo le persecuzioni fatte a quell’onoratissimo titolo; e, con i signori censori avendo prima comunicato il negocio, fece risoluzione di strettamente raccomandarlo all’orator marchigiano, che pur allora era di ritorno per la Marca. Dal quale con affezion grande di buonissimo amoie essendo stato accettato e condotto al suo paese, per questo ordinario si sono avute lettere di Macerata de’ dodici del corrente, le quali dánno avviso che la cordiale e amorevole nazione marchigiana non solo volentieri ha ricettato il « messere », ma che col baldacchino di broccato con ogni pompa possibile l’ha ammesso nella sua patria; e che il «messere», in contracambio delle infinite cortesie ricevute, il giorno dopo il suo arrivo ai Marchigiani insegnò il vero modo di cuocere un buon pezzo di lonza arrosto e far con essa il saporito pan unto, con lasciar andar su per lo camino quel fumo che a’ Napolitani e alle altre nazioni, che piú studiano alla vanitá di parere che alla sostanza di essere, serve per companatico.