Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. II, 1948 – BEIC 1771928.djvu/169

RAGGUAGLIO XL

L’onorato titolo di «messere », dopo Tesser caduto nella miseria di una infelicissima condizione, vergognosamente è cacciato dal regno di Napoli; né, come egli sperava, essendo stato ricevuto in Roma, per ultimo rifugio ricorre ad Apollo, dal quale gli è assegnata stanza di sua compiuta soddisfazione.

Nella chiazza (cosi chiamano i napolitani le pubbliche loro raunanze) che due mesi sono fecero i seggi di Napoli, vi fu risoluto che da tutto il Regno fosse dato lo sfratto al titolo di « messere », con l’aggiunta di pene gravissime se nel termine di tre giorni non ubbidiva; e perché a quel giá onoratissimo titolo non parea di meritar quel pubblico scorno, per quietar que’ prencipi e que’ signori contro lui grandemente sdegnati, autentiche fedi produsse in giudicio di Giovanni Scoppa, di Antonio Mancinelli e di altri eccellentissimi grammatici, nelle quali concludentemente si provava che i barbari, i quali di settentrione diluviarono in Italia, con l’ignoranza ch’avevano delle cose latine non solo corrotto avevano il supremo titolo di « fiere » in « sire », ma che questo ancora le genti che seguirono poi avevano mutato in « messere », il quale il medesimo sonava che « mio here » cioè « mio signore »; e che un titolo suo pari, col quale i sempre gloriosi re di Francia onoravano le serenissime persone loro, indegnamente dagl’Italiani cosi veniva strapazzato e maltrattato. Ma perché a queste cose fu risposto che nell’importante materia titolare non al vero valore de’ titoli, ma che solo si attendeva a quello che essi correvano alla piazza, l’infelice « messere » fu forzato di ascondersi in casa di alcuni onorati vecchioni, i quali acerbamente si dolevano che anco da’piú vili bottegai cosi malamente venisse oltraggiato quell’onoratissimo « messere », col quale si ricordavano che i passati re napolitani gloriosi e infinitamente venerandi renderono i titoli delle persone loro. Ma alla fine, vedendosi il negozio affatto disperato, lo sfortunato « messere » con l’ordinario procaccio nel medesimo