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RAGGUAGLIO XXXVII

L’ambasciadore della provincia della Marca., mandato a questa corte, nella pubblica udienza si duole con Sua Maestá del caso infelice occorso a’ suoi Marchigiani; al quale Apollo con singoiar dimostrazione di vera affezione pone competente rimedio.

L’orator marchigiano, che la settimana passata capitò a questa corte, ieri, accompagnato dalla maggior parte della nobiltá virtuosa, fece la sua solenne e pubblica intrata, e vestito di una lunga gramaglia funerale comparve nel venerando collegio de’ letterati; nel quale, dopo l’aver con una profonda riverenza onorata la Maestá di Apollo, parlò in questa guisa: — Sire e padre delle buone lettere, e voi altri prencipi dei cuius che mi ascoltate, mentre le buone lettere fiorirono al mondo, anco la Marca talmente si segnalò in esse, ch’ebbe grido di aver poeti, filosofi, oratori e altri personaggi grandi non punto inferiori ai Mantovani, agli Ateniesi, ai Romani: onde alcuna volta dagl’ingegni grandi de’ letterati fino meritò di esser paragonata alla stessa famosissima Grecia, fecondissima madre di tutte le scienze. Ma poiché da’popoli barbari a pezzi furono tagliati o fatti morir di fame i letterati, le buone lettere ancora siffattamente furono calpestate da essi, che dopo gl’incendi di tante famosissime biblioteche, nelle quali perirono le fatiche de’ piú famosi scrittori, essendosi anco smarrita la nobilissima lingua latina, affatto si perdette la razza dei dittongi; dalla ruina de’ quali è nata poi l’ultima spiantazione della nobilissima provincia della Marca, perché dalla famosa cittá di Iesi i nobilissimi Marchigiani essendo prima chiamati « piceni aesini », dopo la veramente lagrimevole perdita c’ho detto che si fece dei dittongi,sono rimasti «piceni asini»; che certo non so vedere qual maggior calamitá a qualsivoglia altra nazione sia accaduta giammai, che a questa della patria nostra possa paragonarsi: la quale per la perdita di un sol dittongo talmente è rimasta priva dell’antica sua riputazione, che gl’infelici Marchigiani non