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merito e gran valore, io l’abbia governato. Il primo capo affatto è falso; perché, come a me può esser opposto che con le fraudi io abbia occupato l’imperio romano, nel testamento di Augusto essendo io stato scritto erede? Vero confesso che Augusto, Agrippa Postumo avesse suo nipote, e Germanico a lui congiunto di sangue; ma fa bisogno considerare che non fu Augusto prencipe cosi sciocco, che nell’importantissimo fatto di lasciar dopo sé un erede, che in cosi grande imperio dovesse succedergli, da qualsivoglia sagace e fraudolente ingegno giammai avesse potuto essere ingannato. Ben si dee credere che, a’ suoi nipoti avendo egli preposto me, a lui non punto congiunto di sangue, alta cagione, importantissimo rispetto l’inducesse a ciò fare; e tuttoché in questa occasione con mia molta lode potessi raccontare i virtuosi artifici che usai per acquistarmi l’affezione e la buona volontá di quel grandissimo prencipe, questo solo nondimeno mi piace di ricordare in questo luogo; che, se Augusto ne’soggetti del suo sanguequellequalitadi avesse trovate, le quali necessarie conosceva in quel soggetto che esser doveva suo erede, delle quali io isquisitissima diligenza usai di mostrarmi appieno dotato, né l’amore che dice Tacito che Augusto portò a mia madre, né le lusinghe di lei, né gli artifici miei, ancorché finissimi, giammai sarebbono stati sufficienti per indur quel sagacissimo prencipe a fare azione tanto crudele, di privare i suoi nipoti per lasciarsi un erede estraneo. Ma in questo luogo e in questa occasione mi giova di fare ad ognuno palese quella mia azione, dalla quale io sempre ho riconosciuto l’acquisto dell’imperio romano, come quella che fino violentò Augusto a svisceratamente amarmi. È noto ad ognuno che, dopo la morte di Marco Agrippa, Augusto mi diede Giulia sua figliuola per moglie: ed è anco palese a tutti quale quella gran principessa mi riuscisse per le mani; onde, vilipeso dalla superbia e dalla lasci viadi quella donna impudica, pessimamente vedendomi offeso nell’onore, per mia grandissima esaltazione seppi servirmi di quella medesima occasione, che, per mandare in ultimo precipizio tutte quelle speranze della mia buona fortuna, le quali io vedeva molto bene incamminate, mi si trapose ne’ piedi. Perché,