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mera debolezza, perché l’ora essendo tarda, prima di uscir di casa non aveva Pausania, com’era suo costume, rifocillato l’animo nella sua biblioteca, pigliando due cucchiari di conserva fatta delle poesie di Pindaro. Ma la serenissima Euterpe, della quale Pausania è parzialissimo servitore, con spruzzarli nel volto due sostanziose sentenze di Tucidide, fece ritornar in lui la virtú giá quasi tutta perduta. Allora Pausania, senza altramente considerare ch’egli grandissimo mancamento commetteva impedendo al Lipsio il poter fornir la sua orazione, vinto da grave affanno d’animo: — Oh tempo edace, — esclamò, — oh invidiosa vecchiaia, che co’ vostri acutissimi e mordaci denti anco quelle cose consumate, che dagli uomini, perché eternamente sieno vedute sopra la terra, sono state fabbricate ! E come è possibile che alla variazione de’ tempi cosi certamente sia congiunta la vicissitudine delle cose, che la mia dilettissima Grecia, madre giá delle buone lettere, reina di tutte le scienze, onorato e sicuro domicilio delle arti liberali, giardino del mondo, patria de’ piú segnalati virtuosi in tutte le dottrine che giammai abbia avuto qualsivoglia altro luogo dell’universo, istrumento nobilissimo che eternò la penna mia, ora tutta sia divenuta ignoranza, tutta silvestre, disabitata d’uomini e talmente spogliata di que’ magnifici edifici pubblici e privati, de’ quali a meraviglia era giá piena, che solo ora vi si vegghino pochi e vilissimi tuguri, e che i famosissimi antichi filosofi, oratori e istorici ateniesi in questa nostra infelicissima etade sieno divenuti vilissimi oglierari in Costantinopoli, e per lo contrario la Fiandra, che a’ tempi miei altro non era che solitudini, selve ingombrate da paduli, piene di fiere e stanza d’uomini rozzi piú selvaggi di esse fiere nonché ignoranti delle buone lettere, e dove non altro si vedeva che spaventevoli grotte e vili capannucci abitati da gente mendica, ora sia divenuta provincia fecondissima, bellissima, amenissima, piena di abitatori sopramodo civili, facoltosi e industriosi, colma di cittadi nobilissime a meraviglia, ornate di edifici pubblici e privati sontuosissimamente fabbricati, e, quello che immensa fa la meraviglia mia, patria felicissima, dove le greche e la latine lettere par che abbiano fondato il seggio dell’eterna lor abitazione. — Le parole