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ANNOTAZIONI

39 *

196 19 La concessione di qualche « brieve elogio particolare» giustifica evidentemente le poche e moderate lodi di personaggi viventi che qua e lá ricorrono nei Ragguagli.

  • 98 ii-22 e *99 2-9 Queste linee costituivano in un primo tempo

la materia di un ragguaglio indipendente, che ci è conservato in P al n. 22, in copia senza correzioni; nell’indice autografo della c. 184 ha il titolo « Lampridio scacciato di Parnaso». Eccone il testo:

« Sono giá molti mesi che la Maestá d’ Apollo, sdegnata contro Lampridio, diede le sue Istorie ahi pubblici censori delli buoni costumi, mercé che esse davano in molte loro parti grandissima noia a Sua Maestá; onde questa mattina hanno li eccellentissimi censori alla presenza di Sua Maestá e del sacro senato delli virtuosi fatta la loro relazione, poco onorata per Lampridio, il quale, nel descrivere le vite di Caracalla ed Eliogabalo e altri prencipi di pessimo esempio, si era di modo dilettato nello scrivere le obscenitá e li vituperi di quei prencipi, che parea che di una cosa odiosissima, essendosi molto disteso, ne avesse sentito diletto e che avesse piú tosto con li suoi scritti voluto insegnar al mondo le libidini che la castitá, le oscenitá e le [im]modestie di vizi che le virtú. Apollo sentenziò Lampridio degno di esser cacciato da Parnaso e le sue Istorie degne di esser abrusciate, e fece editto che, stante che li uomini privati, nonché li prencipi che abondavano di tutte le comoditá, nelle cose della carne facevano cose indegne di uomini e indegne di esser scritte, che questa materia non si dovesse se non con brevissime parole toccar, affine di non imparar piú tosto li vizi che le vertú; e percioché Svetonio Tranquillo raccomandò la persona di Lampridio ad Apollo, che era adirato, gli fu da Sua Maestá risposto che tacesse, ché anco egli meritava severo gastigo nonché acerba riprensione, essendo stata cosa indegna di quella sua molta modestia, della quale sempre fe’ tanta particular professione, l’aver scritto l’oscenitá di Tiberio, facendo sapere che egli si serviva nelle sue libidini delli putti che ancor erano in fascie; ma che egli taceva, perché non voleva incorrere nel comune errore delli omini, di scordarsi di molti meriti per un sol mancamento di una persona; che Lampridio giustamente era stato sentenziato, poiché li storici dovevano scriver l’ istoria di prencipi vertuosi e onorati, e nelle loro vertú diffondersi, per inanimare l’altri a conseguir quella medesma gloria, e non quella di certi uomini, che sono vissuti da bestie, che non