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che quel medesimo Anneo Seneca, che da’ suoi malevoli è stato altre volte lacerato, mentre visse, di aver affettato l’imperio, e consentito alle congiure contro l’imperatore Nerone, suo ingrato discepolo, e di avergli al medesimo Nerone consigliata la morte di Agrippina, sua madre, con la quale ancora non hanno dubitato dire che si sia giaciuto, e che con ogni mala industria e arti cattive abbia affettato ricchezze, e che si sia servito per ministro della sua aviditá della crudeltá di Nerone, ponendogli in disgrazia molti, acciò si avessero a ricomprar la vita con lasciarlo erede ne’ lor testamenti, o fargli ricchissimi doni ; ora di nuovo da’ medesimi vien accusato dinnanzi questo sacrosanto altretanto quanto tremendo tribunale di esser, con tutti i suoi seguaci, e vendicativi e ingrati talmente, che meritiamo di esser scacciati da queste seggie acquistate coi sudori de’ nostri scritti. Sire, mentre Seneca visse si fece far largo con la sua penna nel modo che vide il mondo, il quale da’ suoi scritti ha fatto giudizio quale Seneca sia vissuto. Rispondo ora all’accusa moderna e con pene severissime: che io con i miei seguaci siamo e vendicativi e ingrati verso gli uomini; ma non è questo vizio, non è questo, o Sire, difetto, ma prestantissima virtú, cagionata dalla puritá delli nostri cuori, dalla nostra coscienza, della candidezza della quale ho sempre fatto particolar professione, perciò che noi, i quali viviamo ora e siamo per lo passato vissuti senza offender alcuno, chi non vede che piú degli altri potiamo con difficoltá grande scordarci quelle offese, alle quali non abbiamo dato minima occasione e le quali ingiustamente e senza niuna ragione ne vengono fatte, ove colui che ha offeso può contracambiare e compensare essa offesa con l’ingiuria o danno ricevuto. Cosi ancora dalla medesima perfezione degli animi e de’ costumi nostri, dalla puritá delle nostre coscienze procede l’ingratitudine, che sempre usiamo verso i nostri benefattori, poiché un uomo di vita immacolata e che fa professione di coscienza pura ha tanto per suo costume e istinto naturale ogni benefízio, ogni grazia e ogni bene che gli vien fatto, riconoscere dalla mano stessa e immediata volontá di Dio grandissimo, che non è meraviglia se con tanta facilitá ne incarcano le persone. È cosa chiara, sire, che gli uomini ordinariamente, per proprii interessi e per fini privati, usano verso altri la munificenza, la liberalitá, e però non si devono loro quei obblighi immortali che si van predicando da quei, i quali a me giova chiamar ateisti, poiché i benefizi anco mediocri piú riconoscono da un uomo, che