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RAGGUAGLIO LXXXVI

Giusto Lipsio, per emendare il fallo di aver accusato Tacito, cosi intensamente l’osserva, che appresso Apollo vien imputato di idolatrarlo. Onde dopo un finto supplicio da Sua Maestá alla fine è lodato e ammirato.

I piú curiosi letterati di questo stato molte volte hanno notato che allora che virtuoso alcuno per fragilitá umana commette qualche mancamento, per lo spavento poi ch’egli ha delle azioni viziose, talmente con cader nell’altro estremo lo corregge, che non mancano molti i quali affermano che Democrito non giá per beneficio della contemplazione si cavasse gli occhi, ma per emendar il fallo nel quale era incorso di lascivamente — piú di quello che ad un filosofo suo pari si conveniva — aver vagheggiata una bellissima giovane: e tra i virtuosi è anco fama che Arpocrate, per corregger il difetto del moltiloquio del quale in un convito grandemente fu biasimato, cadesse nell’altro estremo di non parlar mai. Né la sentenza del poeta:

Dum vitani stiliti vitia, in contraria currunt,

deve esser stimata vera, poiché nel cane che dall’acqua bollente severamente è stato scottato, per somma prudenza è giudicato lo starsi ritirato in casa quando piove; come anco è consiglio da uomo accorto aver in spavento le anguille, quando altri mortalmente è stato morsicato dalle serpi. Questo si dice, perché cosi grande fu il dolore, cosi segnalato il rammarico che senti Giusto Lipsio dell’accusa che con tanta sua infelicitá diede contro Tacito, che per emendar fallo che da’ virtuosi tutti di questo stato sommamente fu biasimato, poco dopo ch’egli incorse in quell’errore, fu a trovar Tacito, al quale dell’ ingiuria fatta li chiese umilissimo perdono. Tacito, conoscendo quanta riputazione altrui arrechi la prontezza del facil perdono, con magnanimitá degna di senator romano non solo al Lipsio liberamente condonò