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volto molto sdegnato li disse se in Parnaso mancavano altri letterati per servirsene in quel suo bisogno, e se egli era uno di quei prencipi che, per avarizia di non spendere e per malizia di poter con minor suo pericolo altrui mancar di parola, commetteva T indegnitá di mandar gli stoici in volta per le osterie. Appresso poi Sua Maestá gravemente si querelò degli stoici, che, facendo aperta professione di aver dato dei calci airambizione e alle pompe mondane, cosi volontieri poi s’ ingerissero in quei negozi di stato, nei quali molte volte commettendosi somme impietadi, ottima cosa era che né meno fossero saputi, non che trattati, dalle genti ignoranti. Poi si voltò Apollo verso Zenone e con lo sdegno medesimo li disse che l’aver egli a Dio e agli uomini promesso di voler attender ad una professione e poi pubblicamente tutto impiegarsi in un altro esercizio, era azione in infinito scandalosa: e che un suo pari, fondator di setta tanto famosa, con sommamente abborrire le corti dei prencipi e grandemente star sequestrato da’ negozi loro, al mondo tutto anzi doveva far parer bugiardo che veridico quel Cornelio Tacito, che la setta stoica avea chiamata arrogante, « et quae turbidos et negotiorum appetentes faciat » ( 1 ).

Con questo scorno dall’audienza fu licenziato Zenone, quando avanti Apollo si presentarono molti prencipi insieme, i quali gli dissero che al pari degli altri virtuosi di Parnaso eglino sommamente amavano l’apprender le scienze, e che in sommo credito avevano le arti liberali: ma che il monte della virtú sommamente essendo erto e scosceso, cosi per salire alla cima era aspro, che agli amatori delle buone lettere sempre indebolendo lo stomaco, sconcertando il capo, talora rompendo la vena del petto e guastando il lume degli occhi, i letterati miseramente si vedevano cader nelle pericolose infermitadi delle febbri etiche, de’ mali tisici e nel tormento delle eterne indisposizioni ipocondriache; che però umilissimamente supplicavano Sua Maestá a compiacersi di far loro grazia di talmente agevolare la strada del monte, che i prencipi, non punto avvezzi a quelle insoppor (i) Tacito, libro XIV degli Annali.