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mente mantener le cose guadagnate faceva conoscer l’esquisita prudenza di un sol prencipe. E che la rara prerogativa di fondator di regni solo a quelli si concedeva, in Parnaso, che al valor di acquistare talmente avevano congiunta la virtú del mantenere, che con ordini tanto buoni aveano stabiliti gli stati guadagnati, che felicemente gli aveano trasmessi al terzo erede. Azione che da lui in tanto non era stata adempita, che né meno i suoi figliuoli poterono goder gli stati da lui acquistati con tanto sangue. E che secondo il precetto del magno Tacito, né prencipe, né capitano alcuno privato, che nel maneggiar le armi voleva acquistar fama di saggio e di accorto, non doveva « nova moliri, nisi prioribus firmatis » : perché egli, « longinquis itineribus percursando qiuic obtineri nequibant » (1), aveva imitati que’ vili parasiti, che sopra le forze della propria complessione mangiando quello che non potevano digerire, vergognosamente erano forzati vomitare il pasto. E che Alessandro il magno, tuttoché nel suo ingresso in Parnaso straordinariamente avesse affettata la medesima onorata prerogativa di fondator di nuove monarchie, che nondimeno per lo poco saggio modo di guerreggiare ch’egli tenuto avea nell’Asia, la quale piú tosto come capo di masnadieri scorse, che come re grande co’ debiti termini dell’arte militare soggiogò, non potette ottenere.

Molto afflitto dall’audienza parti il Tamerlane, quando avanti Apollo comparve Alessandro Vellutello, il quale a Sua Maestá presentò il suo Commentario composto sopra il canzoniere del Petrarca. Apollo, prima di pigliar il libro, interrogò il Vellutello quale stile egli avea usato nel commentar le rime di quel poeta eccellente: e perché il Vellutello gli rispose che primieramente si era affaticato di altrui mostrar l’occasione nella quale il sonetto era stato composto, e che appresso avea fatto conoscere la vera significazione delle parole e palesato il concetto del poeta; Apollo gli disse che per sé si ritenesse i suoi Commentari, perché egli amava ^quei commentatori de’ poeti, che al lettore scoprivano l’artificio usato dall’autore nella tessitura del

(1) Tacito, libri XII e XV degli Annali.